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LE NOTE STONATE DI VITAMINIC

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Vitaminic è destinata ad essere comprata dal grosso editore di turno.

I music service provider sono aggregatori di contenuti e comunità musicali. In Italia i più conosciuti sono Vitaminic, Vinile, CD Flash, CD now, più le sezioni musicali dei vari portali generalisti come Kataweb e Tiscali (Musix). In Nord America i più popolari sono E-music, Iuma, Cdnow, MP3, Napster . In Europa i player più significativi coincidono più o meno con le filiali degli operatori americani.

Non sorprendentemente la maggior parte di essi è stata acquista dall’editore di turno: Bertelsmann ha comprato per Cdnow e Napster, Vivendi-Universal ha acquisito Mp3 e E-music; Vitaminic ha comprato Iuma.
A questa dinamica non dovrebbe sfuggire la stessa Vitaminic verosimilmente tra circa un anno e mezzo circa (che è poi la distanza temporale tra il marketing americano e quello europeo), quando il titolo si sarà leggermente sgonfiato, quando il mercato capirà quale modello di business funziona e fino a che punto e quando le major decideranno di uscire allo scoperto sul terreno virtuale “riappropriandosi” dei loro contenuti.

La crescita di società come Vitaminic appare essere matura principalmente perché la maggior parte di esse ha assolto la sua vera missione: quella di confezionare una comunità di consumatori e produttori di contenuti musicali da vendere al gigante editoriale di turno. Che non compra necessariamente perché vuol vendere in rete, ma semplicemente per prendere tempo, per assecondare e controllare un passaggio al digitale comunque inesorabile, per non lasciare dei target alla concorrenza, per essere nelle migliori condizioni quando sarà costretto a scendere a patti con la rete.

Per quanto validi, i modelli di business degli intermediari musicali sembrano essere volti ad aggiungere valore finanziario più che economico: i 50 miliardi di lire e passa spesi da Vitaminic, contro circa 3,5 miliardi di lire di fatturato, sembrano mirare al confezionamento di un brand che si spera il mercato riconosca per un valore superiore alla sua reale e potenziale redditività economica.

A gravare sono sempre le solite spese di marketing (30 miliardi di lire) e personale (5 miliardi di lire), infrastruttura e tecnologia, spese di consulenza per quotarsi in borsa o ricercare partner.

Uno scenario verosimile, dunque, vede tra i protagonisti della parziale transizione dall’editoria tradizionale a quella digitale i broker musicali; gli operatori di telecomunicazioni (voce fissa/mobile + Internet) in virtù delle loro più che mai ambite piattaforme di “billing” (di qui l’intesa Vitaminic/Omnitel) e della loro possibilità di recuperare qualcosa sul traffico provocato (possibilità destinata ad essere estesa agli editori, oltre che a operatori telefonici e recentemente Internet Provider reali e virtuali)

Per i music mediaries/service provider sarà – in America lo è già – l’inizio della loro fine. Tutto sommato lieta se riusciranno a uscire in tempo trovando un compratore, presumibilmente tra le categorie merceologiche appena indicate.

Guardando più in particolare, il modello economico di Vitaminic si basa sulla raccolta pubblicitaria (corrispondente ai 2/3 del suo fatturato di circa 3,5 miliardi di lire); sullo sfruttamento dei dati degli utenti ai fini commerciali (non quantificabile); sulla rivendita di contenuti e servizi tecnologico-infrastrutturali a siti e portali terzi (per un valore pari al 20 % del suo fatturato); da poco tempo sull’abbonamento semestrale/annuale a un repertorio selezionato di contenuti musicali (Music Club) scaricabili e/o fruibili in streaming (tecnologia che permette di leggere un file senza doverlo scaricare); su servizi di marketing e promozione di contenuti, artisti, etichette (specie emergenti e indipendenti), sul commercio elettronico/fisico (stampa/masterizzazione e invio a mezzo corriere) di alcuni contenuti audio-video non compresi nel pacchetto del Music Club.

Sulla pubblicità niente da dire: cresce e continuerà a farlo (specie degli investitori italiani che fino adesso hanno rappresentato solo il 45 % del gettito pubblicitario), a dispetto della sua presunta svalutazione/inflazione. Idem per il valore la profilatura degli utenti (difficile da mettere in bilancio ma importante a livello finanziario).

Ma Vitaminic ha davanti a se’ varie difficoltà:
– la valorizzazione della piattaforma tecnologica da secondaria è destinata a diventare marginale a causa degli stessi provider “generalisti” come Telecom Italia e Infostrada.

– i contenuti non sono difendibili ed esclusivi: le major non tarderanno a riprenderseli non appena i mercati finanziari si accorgeranno della sopravvalutazione dei modelli di business di questo tipo di operatore economico (dai €36 di un anno fa il titolo Vitaminic oggi giace stazionario intorno ai €26-€27 e non si vede perché debba ulteriormente crescere).

– gli abbonamenti al “Music Club” appaiono prematuri, tanto più che non possono contare sulla presenza diffusa di riferimenti territoriali o mediatici locali come nel caso di MP3.com. Gli italiani, soprattutto quelli a cui si rivolge Vitaminic non sono ancora pronti a spendere £160.000 all’anno o £99.000 al semestre per accedere al Music Club. Inoltre gli eventuali ricavi da abbonamenti sembrano concedere margini esigui per una “revenue sharing” (condivisione degli introiti) soddisfacente per i vari anelli della catena produttiva.

– la diffusione della tecnologia Adsl, per quanto non ancora sinonimo di banda larga, spingerà il pubblico libero dall’assillo delle 50 lire/minuto verso le web-radio esaltandone la prerogativa di consentire l’organizzazione del proprio palinsesto musicale: altro fattore che diminuisce il vantaggio competitivo dell’opzione di scaricamento dei files audio-video.

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*Ettore Iannelli è un analista di marketing strategico del settore telecomunicazioni.