Riservatezza bancaria? Gli Stati Uniti battono le Isole Cayman. Lo mostra la classifica del Tax Justice Network, che per il 2015 vede gli Usa al terzo posto del suo “indice di segretezza finanziaria”; al primo resta la Svizzera seguita da Hong Kong. Nel 2013 la posizione degli Stati Uniti era la sesta, preceduta, tra gli altri, dal Lussemburgo e dalle Cayman. Nel frattempo un accordo promosso dall’Ocse su più stringenti regole sulla condivisione dei dati bancari è stato firmato, nel 2014, dalla quasi totalità dei membri. Eccetto Bahrain, Nauru, Vanuatu e, appunto, gli Stati Uniti. “Gli Usa sono il più grande paradiso fiscale del mondo”, o almeno questo è quanto dichiara Andrew Penney, della managing director della banca d’investimento Rothschild.
La resistenza ai nuovi standard bancari sta rendendo gli Usa una destinazione sempre più ambita per la ricchezza estera: i conti si spostano da luoghi come le Bahamas e le Isole Vergini per approdare in Nevada, Wyoming e Sud Dakota. A dare conto di questo fenomeno è un lungo approfondimento di Bloomberg, nel quale Penney viene indicato come uno dei profeti di questa “nuova Svizzera” che sono diventati gli Stati Uniti d’America. Basato a Londra e gestore di 23 miliardi di dollari provenienti da 7mila clienti, fra Milano e Hong Kong, Penney lo scorso settembre ha tenuto un incontro a San Francisco nel quale, fra le altre cose, veniva spiegato come trasferire la propria ricchezza negli Usa evitando le tasse americane e la condivisione dei dati bancari con i paesi d’origine. All’interno di una presentazione Powerpoint, successivamente modificata, Penney mostrava come Wang, residente a Hong Kong, potesse “schermare” la sua ricchezza al governo cinese depositandola in un trust basato in Nevada, senza per questo generare introiti fiscali per gli Stati Uniti.
Certo, la legge americana preserva la riservatezza, ma vieta alle banche di aiutare consapevolmente l’evasione fiscale dei propri clienti. La mancata adesione degli Usa agli accordi Ocse sulla condivisione delle informazioni, però, si “sta rivelando un driver forte per la crescita del business”; a dirlo, ovviamente, è il Ceo di una azienda di consulenza finanziaria, basata in America.