ROMA (WSI) – Gli ultimi numeri sull’economia dell’Eurozona mettono ancora più sotto pressione la Bce . Gli sforzi di Mario Draghi nel tentare di rivitalizzare l’inflazione stanno penosamente fallendo, e anche da parecchio. Mesi in cui si presentano barlumi di speranza piuttosto incerti si alternano ad altri mesi in cui di nuovo si riaffaccia lo spauracchio della deflazione.
Il bazooka monetario di Draghi – pronto a essere potenziato, tra l’altro, dal momento che sarà rivalutato a marzo -, il mix tassi negativi-Quantitative Easing, non riesce ad arginare la caduta dei prezzi. Risultato: l’Eurozona e anche l’Italia a dispetto dei proclami della coppia Renzi-Padoan, non solo non ingrana la marcia, ma se lo fa va indietro.
E’ questo almeno il quadro che emerge dai dati che sono stati resi noti dalla società di ricerca Markit. Il sondaggio ha mostrato che nel mese di gennaio l’attività manifatturiera dell’Eurozona è cresciuta a un ritmo inferiore rispetto a dicembre. L’indice PMI complessivo è calato infatti a 52,3, contro i 53,2 punti di dicembre.
Le aziende hanno reso noto che l’output, i nuovi ordini e le esportazioni hanno tutte messo il freno. Non solo: le stesse aziende hanno tagliato i prezzi per il quinto mese consecutivo, e al ritmo più forte dal gennaio del 2015. Così il responsabile economista di Markit, Chris Williamson:
“L’economia manifatturiera dell’Eurozona ha perso terreno all’inizio dell’anno. Dopo un’accelerazione che è durata tre mesi consecutivi, il tasso di crescita è scivolato dal massimo in 20 mesi testato alla fine del 2015. La crescita degli ordinativi, delle esportazioni e dell’output si è indebolita. E se il rallentamento dell’attività economica non è tale da preoccupare le autorità di politica monetaria (ovvero la Bce), i prezzi imposti dai produttori sono scesi al ritmo più forte in un anno, alimentando ulteriori preoccupazioni sulla deflazione”.
La Spagna è l’unica che ha riportato – tra le economie principali – una performance confortante, con l’indice PMI salito a 55,4 punti lo scorso mese, contro i 53 di dicembre, e meglio delle attese.
Tra gli altri principali paesi:
- Francia: confermata la fase di stagnazione, con l’indice PMI in calo a 50 punti – proprio la linea di demarcazione tra fase di contrazione (valori al di sotto) e di espansione (valori al di sopra)- rispetto ai 51,4 di dicembre.
- Italia: indice Pmi in flessione a 53,2 da 54,9.
- Germania: sorpresa negativa anche per l’economia tedesca, con l’indice a 52,3 dai 53,2 di dicembre.
Un quadro niente affatto positivo, che mette fretta a Draghi. Il numero uno della Bce parlerà tra l’altro proprio oggi, nel corso di un’audizione al Parlamento europeo, a Strasburgo.
Ora che il Giappone ha lanciato il proprio bazooka copiando tra l’altro la stessa Bce nell’imporre i tassi negativi, una cosa è comunque chiara: le banche centrali difficilmente lo ammetteranno, ma la guerra valutaria continua a intensificarsi, tanto più dopo la decisione a sorpresa della Bank of Japan, che ha spiazzato tutti.
Draghi potrà ignorare mossa Giappone?
Improbabile. A sua volta sarà difficile che anche la Banca centrale svizzera, la Swiss National Bank, rimanga a guardare.
E la Federal Reserve, perfino, secondo alcuni sarà costretta a pentirsi e addirittura a tagliare i tassi. Non si può negare infatti l’effetto negativo che l’apprezzamento del dollaro sta avendo sugli utili della Corporate America.
Il risultato è che il circolo vizioso del QE e delle maxi iniezioni di liquidità si autoalimenterà, al fine di deprezzare le proprie valute e garantire almeno che le economie sopravvivano attraverso la flebo delle esportazioni. Ma è difficile, come la storia dimostra – non per niente il Giappone ha vissuto la trappola della liquidità per anni, ma evidentemente la lezione non è stata sufficiente – che i fondamentali dell’economia tornino a rafforzarsi come prima della crisi finanziaria globale. E non è detto che la minaccia della deflazione sarà sconfitta. I fatti dicono per ora esattamente il contrario.