Secondo i dati del McKinsey Global Institute fra il 2007 e il 2014 il debito globale, pubblico e privato, è passato da 142 a 199 milioni di miliardi così come dal 269% del Pil al 286%. Per quanto suoni come una Cassandra assai sgradevole, uno dei problemi dell’economia subentrata alla crisi del 2008 è che tale crisi, generata da debiti eccessivi, è stata tamponata con ulteriori debiti. Ultimo ad affrontare questo problema è Jeremy Warner sul Telegraph, che prefigura uno scenario poco lusinghiero soprattutto per i debiti pubblici:
Circa il 40% dei titoli di stato dell’Eurozona vengono scambiati con un rendimento inferiore a zero. Chiunque compri avrà una perdita garantita alla scadenza. Questo bizzarro stato di cose, chiamato bolla del debito sovrano […] parla di una mondo talmente avverso al rischio e privo di opportunità d’investimento decenti che, per default, finisce tutto nel debito pubblico. Ed è in default che senza dubbio andrà finire.
Gli stati d’insolvenza in altre parole sono virtualmente inevitabili, anche se è impossibile prevedere esattamente quando la percezione del mercato sarà diffidente a tal punto da reclamare indietro i soldi, innescando così la crisi. Dall’inizio del secolo sono già stati 16 i default sovrani; in maggioranza si è trattato di ristrutturazioni negoziate: “non si può che pensare che saranno, in futuro, molti di più”, scrive Warner.
Un tempo, in seguito agli enormi indebitamenti per finanziare le guerre, si ricorreva a politiche fortemente inflazionistiche, che avevano l’effetto concreto di alleggerire l’onere del debitore polverizzando il valore reale della moneta. Sembra che il mondo di oggi corra nella direzione completamente opposta: per onorare i debiti a prezzi costanti le alternative sono contate. Una è ottenere un’adeguata crescita reale del Pil; un’altra è, per alcuni, la stretta fiscale. Rimangono, a parte, le opzioni inflazionistiche come la monetizzazione del debito (il pagamento con denaro di nuova emissione del deficit pubblico); e, infine, il default, che tuttavia lascia conseguenze molto dure e persistenti sulla fiducia del mercato per anni. Eppure, secondo Warner, è a questo che ci si dovrebbe preparare: alla ristrutturazione dei debiti, che “sono molti di più di quelli che potranno mai essere ripagati”.