ROMA (WSI) – A giudicare dalla reazione dei mercati globali ed europei in particolare, tramortiti dalle vendite in questo inizio di anno da dimenticare, gli investitori stanno mettendo in discussione la capacità di Mario Draghi di essere effettivamente in grado di fare tutto il possibile per salvare l’euro, come aveva promesso nell’estate di quattro anni fa.
Il settore bancario non è ancora stato ripulito, la crescita non riparte e la Bce non ha centrato gli obiettivi di inflazione per quattro anni di fila e probabilmente – almeno a giudicare dalle aspettative di mercato – anche nei prossimi cinque anni la musica non cambierà.
Secondo l’opinionista illustre del Financial Times, Wolfgang Munchau, i mercati avrebbero proprio perso la fiducia delle capacità del governatore della Bce. Secondo il giornalista economico ci sono almeno quattro segnali che indicano come l’Eurozona stia per sprofondare in un’altra crisi.
Innanzitutto il legame tossico tra banche e debito sovrano. Il crollo dei titoli bancari ha coinciso con l’incremento dei bond della periferia dell’area euro e degli Spread con i Bund, in particolare in Portogallo, dove non aiuta il fatto che sia salito al potere un governo contrario alle politiche di austerity europee. L’andazzo ricorda quello della crisi del 2010-2012. Il tasso decennale portoghese quota circa il 4%.
In secondo luogo, il fallimento del progetto dell’unione bancaria così com’è al momento. Per ora altro non è che un compromesso e nulla di più: la supervisione unica del settore bancario e un regime di risoluzione unica non offrono ancora un’assicurazione sui depositi addizionale a quella nazionale, che in Italia è per esempio garantita dal Fondo Interbancario sui Depositi.
Per effetto delle norme di bail-in, per quanto più giuste dal punto di vista etico dal momento che non richiedono più il contributo dei cittadini ai salvataggi bancari – almeno non in prima istanza – i governi non potranno più intervenire con aiuti di Stato. La direttiva ha già imposto perdite agli obbligazionisti di bond subordinati delle quattro banche regionali salvate in Italia alla fine dell’anno scorso.
Gli investitori nel settore bancario ora temono di poter incorrere anche loro a perdite e svalutazioni dei loro investimenti obbligazionari. Uno dei motivi per cui i guai di Deutsche Bank hanno gettato nel panico i mercati la settimana scorsa è la quantità consistente di bond convertibili contingenti (CoCo) emessa dall’istituto tedesco. Se la banca finisce nei guai, i bond si convertirebbero in azioni e il loro valore risulterebbe immediatamente azzerato.
Inflazione lontana anni luce dal target
Il terzo segnale riguarda l’inflazione e la variazione delle aspettative di mercato. La Bce prende seriamente le stime di mercato sull’andamento dei prezzi al consumo, forse troppo seriamente. Si dice che i contratti forward a cinque o dieci anni sull’inflazione siano l’indicatore preferito di Draghi, sul quale fa maggiore affidamento. La settimana scorsa il valore è sceso ai minimi di sempre, appena sopra l’1,4%.
È questo “il messaggio principale che il mercato ha perso fiducia nella capacità della Bce di raggiungere l’obiettivo di un’inflazione vicina ma non superiore al 2%”.
Il quarto e ultimo messaggio è che i mercati temono un quadro di tassi di interesse negativi. La maggior parte delle 6 mila banche europee sono strutturate in maniera tradizionale: prestano soldi e ci guadagnano con gli interessi. La loro redditività dipende dal margine netto di interesse.
Se la Bce impone un tasso negativo alle banche e sui conti corrente, i risparmiatori preleveranno i loro soldi in massa. A quel punto, per attutire l’impatto di una corsa agli sportelli, le banche potrebbero ridurre l’ammontare di riserve parcheggiate presso la banca centrale e utilizzare quei soldi per fare prestiti e altre attività presumibilmente redditizie.
Oppure potrebbero convincere le autorità a abolire i contanti. Intanto le autorità hanno iniziato con la proposta di eliminare dalla circolazione la banconota da 500 euro, che aiuterà ad indebolire l’euro su dollaro e franco svizzero.
Potrebbero altrimenti investire in titoli redditizi, magari rischiosi. Ma questa, secondo Munchau, “è una prospettiva che difficilmente piacerebbe agli azionisti della banca, in particolare se non vedono buone opportunità di credito e investimento”.
Fonte: Financial Times