Le preoccupazioni degli investitori nei confronti delle società di telefonia si sta traducendo nell’ultimo periodo in qualcosa di molto simile al panic selling: la novità è che sono stati travolti nella spirale ribassista anche quei titoli del settore che sono da sempre considerati intrinsecamente più difensivi, quelli spagnoli e quelli italiani facenti parte del gruppo guidato da Roberto Colaninno.
La debolezza delle realtà operative (Telecom e Tim), a causa dell’effetto leva, si è ripercossa amplificata sulla holding Olivetti, portando il titolo negli ultimi giorni ai minimi dal novembre del ’99. Oltre al forte effetto settoriale il titolo è in questo momento penalizzato da altri due fattori. Prima di tutto il mercato sta manifestando una crescente preoccupazione per i debiti delle società di telefonia e sotto questo punto di vista la holding di piazza affari è sicuramente l’anello debole di tutta la filiera Colaninno. La situazione è messa ancora più a rischio dal progressivo allontanamento di Telecom dalla soglia dei €12,5 necessaria alla conversione delle risparmio, con successivo buy back, funzionale al piano di riduzione dei debiti di Olivetti (oggi intorno ai 36.000 miliardi di lire) per circa 8.000 miliardi di lire (in caso di accettazione della conversione per l’85%). Su questo scenario si è innestata la variabile esplosiva delle richieste di chiarimenti Consob e delle possibili indagini della procura di Torino.
In particolare quest’ultimo fattore allo stato attuale si presenta come un forte elemento di instabilità, non solo perché ha gettato l’intero gruppo nella morsa della volatilità, ma anche perché il peggioramento del sentiment del mercato ha ingenerato una spirale negativa che si autoalimenta: i dubbi sull’evoluzione sul fronte giudiziario spingono le vendite sul titolo, le ridotte quotazioni rendono più difficile il progetto di ristrutturazione e controllo della posizione debitoria, questo fa aumentare i dubbi sulla sostenibilità patrimoniale di Olivetti e ingenera ulteriori vendite. Il problema è che alle quotazioni attuali si è aggiunto un ulteriori fattore di rischio: Olivetti si trova infatti in prossimità di quella soglia degli €1,8 che rappresenta il livello al quale la società ha dato in garanzia titoli alle banche in occasione dell’Opa ostile sulla Telecom. Se il titolo dovesse perdere questa soglia le banche potrebbero richiedere la ricostituzione della differenza nella garanzia in contanti.
Ecco perché i minimi degli ultimi giorni non possono essere interpretati con sicurezza come delle occasioni d’acquisto. I fattori di incertezza sono tali e tanti che non è detto che non possano prefigurarsi ulteriori flessioni. E questo specie alla luce della variabilità che circonda le operazioni sul capitale e dei risultati non brillanti di chiusura 2000 (e primo trimestre del 2001). Su quest’ultimo punto bisogna infatti considerare che se il ’99 si era chiuso con un utile di €4,9 miliardi, il 2000 ha fatto registrare un rosso per €940 milioni; con una situazione patrimoniale peggiorata con un indebitamento finanziario netto passato da €27 miliardi a €37 miliardi.
Nonostante i segnali di peggioramento della gestione extra caratteristica e il saldo negativo della gestione finanziaria e il fatto che il contributo netto delle componenti straordinarie sia diventato negativo, la società ha confermato il proprio obiettivo di riduzione dei debiti per €5 miliardi in tre anni a prescindere dall’operazione Telecom, con l’esposizione della holding in rientro dai €18,5 ai €13,5 miliardi. Se infatti gli oneri legati alla Telecom e gli interessi più alti sul debito contratto in occasione della scalata alla Telecom hanno portato la gestione finanziaria da –€179 milioni a –€916 milioni, la ristrutturazione finanziaria che la società sta mettendo in atto impatta in positivo sugli oneri stessi per €220 milioni su base annua: quindi il 22% del totale. In questo modo il rapporto tra dividendi che fluiscono verso la holding e copertura di interessi si innalzerebbe alla soglia di 1,35 dall’attuale 1,27.
Ecco perché risulta così importante il completamento del piano di ingegneria finanziari avviato nel settembre 2000 e che ha trovato i suoi momenti centrali nella fusione Olivetti-Tecnost (neutrale sul fronte fiscale, ma che ha impedito la dispersione dei dividendi agli azionisti di minoranza di Tecnost), nell’obbligazione convertibile in azioni Telecom per €2,5 miliardi (settembre 2000), nell’aumento di capitale per €900 milioni (a dicembre 2000 il lancio e completamento a marzo 2001) e nel prestito convertibile da €1,3 miliardi con in più warrant per €350 milioni.
Recentemente Olivetti è caratterizzata anche da un nuovo elemento e cioè il fatto di trattare a sconto sul NAV (net asset value). Nel passato la società ha trattato sempre a premio, con una forte distorsione alla fine del ’99. A modificare la situazione è stata la combinazione della fusione con Tecnost e dell’aumento di capitale. Del resto questa nuova situazione, che prima era sgradita agli azionisti di controllo oggi non dovrebbe più essere da loro osteggiata.
Fino a qualche mese fa infatti era orientamento di Bell (la holding che controlla Olivetti) quello di mantenere il controllo effettivo (diretto e indiretto sulla società): ecco perché era allora preferibile un premio per il controllo piuttosto che uno sconto holding. Oggi è venuta meno la voglia di riportare la propria partecipazione ai livelli pre-diluizione e quindi la stessa contendibilità del titolo non dispiace: in caso di Opa si creerebbe forte valore per gli azionisti, l’appeal speculativo stesso dovrebbe essere un elemento di attenzione nel breve; ma nonostante tutto l’attuale partecipazione consente al management una gestione alquanto indipendente delle scelte strategiche.
Ecco perché appare come un segnale destabilizzante il cambio a 360° annunciato nei giorni scorsi dalla società di riportare la partecipazione della Bell in Olivetti dall’attuale 19,7% al 23%, in modo da essere interlocutore unico di qualunque gruppo interessato alla società. Particolare perplessità suscita il fatto che la ricostituzione della partecipazione avvenga con passaggi di pacchetti fuori mercato, segnale che gli acquisti non sono messi in campo per sostenere la quotazione del titolo e creare valore per tutti gli azionisti. (Vedi anche sezione RUMORS che trovate sul menu in cima alla pagina).
E del resto di mire speculative sul titolo se ne sono immaginate molte: a partire da un possibile impiego dell’enorme massa di liquidità che fa capo alla Pirelli (attiva nel business delle fibre ottiche per le comunicazioni e quindi in un settore a monte di quello operativo) alla possibile evoluzione di quello 0,5% posseduto da Mediaset e le cui finalità non sono ancora chiare al mercato. In effetti lo stesso sforzo finanziario richiesto per impossessarsi del controllo della filiera appare irrisorio rispetto alle cifre pagate solo due anni fa in occasione dell’Opa Telecom: un decimo di quello richiesto dalla precedente scalata ostile (anche nell’ipotesi che un rastrellamento sul mercato faccia parzialmente recuperare la quotazione). E in questo caso (con le attuali quotazioni di Olivetti) con 10 mila miliardi di lire si potrebbe acquisire il controllo effettivo senza neanche essere costretti a lanciare un’Opa.
Meno probabile l’ipotesi di una cessione totale da parte della Bell, almeno da quanto appreso dalle recenti dichiarazioni dello stesso Colaninno.
Dopo il tentativo fallito di depredare gli azionisti Telecom del gioiellino Tim nell’estate del ’99 all’indomani dell’Opa Olivetti, il management del gruppo stava compiendo uno sforzo nel segno della maggiore comunicazione con il mercato; sforzo che purtroppo non sempre è sufficiente e non sempre riesce a contrastare il sentiment negativo legato a certe operazioni condotte dal management, o bruschi cambi di strategia (come quello recente appunto sul controllo della Bell). La società ha anche creato una sede delegata alla trasparenza di risultati e strategie: l’incontro di Firenze.
Tuttavia va riconosciuto che i tre tentativi maggiori sono quelli che si sono tradotti in una semplificazione della struttura e quindi dell’approccio dell’investitore nei confronti del gruppo: riduzione del numero di società (con Oli-Tec); ristrutturazione del debito; riduzione delle classi di azioni (conversione di risparmio e cancellazione di privilegiate): in effetti prima di parte di questi interventi il gruppo era costituito da quattro società ed erano in circolazione otto categorie di azioni. Tra le altre operazioni “orientate al mercato” possono identificarsi la decisione di portare avanti la fusione tra Olivetti e Tecnost sulla base del NAV e non sul valore di mercato (circostanza che avrebbe favorito Olivetti); conversione delle risparmio sia di Tim che di Seat a premio sulla quotazione di mercato; possibilità di beneficiare della distribuzione di azioni Seat in egual misura sia per gli azionisti ordinari che di risparmio Telecom.
In effetti proprio la semplificazione della struttura del gruppo potrebbe essere una delle variabili dalla quale dovrebbe passare il rilancio della società: è probabile che la complessità della forma precedente abbia più volte scoraggiato dal posizionarsi sulla filiera non pochi investitori stranieri. Con la sola conversione delle risparmio e delle privilegiate Olivetti (febbraio 2000) e con la fusione Oli-Tec (dicembre 2000) si è passati da quattro categorie di azioni alle sole Oli-Tec ordinarie: il che rende anche la stessa carta Olivetti più trattabile a livello internazionale per operazioni straordinarie. E’ indubbio per altro che la cosmesi e la semplificazione siano caratteristiche inscindibili da questa tipologia di operazioni, ma è anche vero che la decisione dipende anche da una scelta di costi: sia quelli legati a mantenere al listino tante classi di azioni, sia quelli legati a eventuali fusioni in caso di compresenza di diverse classi di titoli. La semplificazione della catena di controllo consente anche una più trasparente composizione della struttura del debito e al contempo una maggiore facilità di servizio dei dividendi a favore di questo stesso debito congiunto.
*Donatella Principe è responsabile della ricerca economica presso il centro studi del Gruppo
Banca Popolare di Vicenza.