LONDRA (WSI) – Mentre Matteo Renzi e Mario Monti continuano a scambiarsi sonori ceffoni ora sull’operato del governo tecnico ora sulla pericolosa battaglia renziana contro la Commissione Ue, la dialettica fra i Paesi che stanno prendendo una strada anti-austerity e Bruxelles sta assumendo proporzioni sempre più trasversali. A unirsi alla schiera dei “flessibilisti” capitanata da Renzi c’è anche il governo portoghese, entrato in carica il novembre scorso con la promessa di chiudere l’esperienza del rigore di bilancio che aveva reso il Portogallo uno degli scolari più diligenti dell’Unione Europea negli anni precedenti.
“Non ci sono stati-professore e stati-alunni nell’Unione Europea” aveva dichiarato il ministro degli Esteri, Augusto Santos Silva, ma nel frattempo la Finanziaria portoghese incassava le critiche della Commissione a causa dello sforamento del 3% del deficit pubblico sul Pil, al 3,4%, prima che un nuovo budget con un miliardo di tagli alla spesa di aumenti fiscali fosse concordato fra Lisbona e l’Europa.
“Il governo di Antonio Costa in Portogallo, assieme a quello di Alexis Tsipras in Grecia e a quello di Matteo Renzi in Italia costituiscono il blocco essenziale del superamento del paradigma rigorista, ad essi si aggiunge virtualmente la maggioranza fra i socialisti spagnoli e Podemos, che stanno considerando la formazione di “un governo del cambiamento”.
Secondo quanto scrive l’Economist non c’è dubbio che a guidare la causa di un’Europa più socialmente orientata sia l’Italia di Matteo Renzi, tuttavia per la rivista britannica, molte delle rivendicazioni dei Paesi non allineati sono più “latrato che morso”. A rendere poco credibili le richieste italiane sono le ben note debolezze fondamentali del bilancio pubblico: con un debito pubblico superiore al 130% del Pil e con una crescita che, nell’ultimo trimestre del 2015 è cresciuta su base mensile di un povero 0,1%, è difficile essere nella posizione di coloro che intendono aumentare il deficit, sostiene l’Economist, che aggiunge: “la sua alternativa all’Ue attuale resta poco chiara in modo frustrante”.
Mentre sempre più spesso si sentono voci, come quelle di Monti o del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che avvicinano la prospettiva di un’Europa a due velocità come esito risolutivo di questo costante contrasto fra centro e periferia economica dell’Ue, la rivista britannica vede nella continua attività di compromesso la più ragionevole opzione per tenere tutti paesi membri a bordo.
Le promesse di Costa in Portogallo, ad esempio, sono state in buona parte ridimensionate col risultato di rivedere al ribasso le previsioni sul Pil dal 2,1% all’1,8% per il 2016; allo stesso tempo i target di deficit strutturale (quello al netto degli effetti congiunturali) sono stati dimezzati. Tutto va come sempre in Europa è sempre andato, conclude l’Economist: “attraverso compromessi e approssimazione”.