ROMA (WSI) – Forse, ora che anche la sua economia accusa i colpi delle turbolenze dei mercati finanziari e dei timori sulla crescita globale, la Germania smetterà di usare toni da falco nei confronti della BCE di Mario Draghi. O forse no, visto che i toni rimangono polemici anche a fronte di dati macro negativi. Dati che iniziano a preoccupare, in un contesto in cui la Bce inizia a concentrare la sua attenzione sulle piccole banche tedesche, invitandole ad adattare i loro modelli di business al contesto di bassi tassi di interesse e dunque a puntare più sulle commissioni e sul taglio dei costi.
“Per conseguire la redditività , le piccole e medie banche della Germania devono rivedere l’efficienza del loro modello di business il prima possibile”. Anche perchè “un sondaggio che è stato messo a punto dalla Bundesbank e da BaFin mostra che le istituzioni (finanziarie) di piccola e media dimensione, in assenza di contromisure appropriate, possono rischiare ulteriori perdite significative sui profitti. Nel sondaggio le (stesse) banche hanno riferito che, anche in caso di rialzo dei tassi, i loro profitti scenderanno in misura lieve nel corso dei prossimi anni. E se la situazione dei mercati si evolverà come atteso dalle banche, allora la loro redditività al lordo delle tasse, nell’arco dei prossimi tre anni, scenderà di circa un quarto, rispetto al 2014″.
Il report avverte:
“in caso di uno shock di tassi di interesse negativi di 100 punti base, gli utili (di tali) banche scenderebbero tra il 60% e il 70%”.Â
La Bce deciderĂ prima o poi di prestare maggiore attenzione alle cosidette Sparkassen, le casse di risparmio?
D’altronde, in un’analisi pubblicata sul sito della Bce, si fa notare come in Germania gli istituti di credito di piccola e media dimensione – Sparkassen incluse – incidano sul bilancio complessivo del sistema bancario tedesco per ben il 35%.
Inoltre, se in altri paesi dell’Eurozona le banche sistemicamente rilevanti, direttamente controllate dalla Bce, incidono sugli asset totali per l’80-85%, nel caso della Germania l’incidenza è di appena il 65%.
Mentre aumentano i timori anche sulle grandi banche, del calibro di  Deutsche Bank, sale anche la frequenza con cui vengono resi noti dati negativi.
Soltanto nella giornata di oggi, due sono state le notizie che hanno alimentato i timori su quello che dovrebbe essere il motore dell’economia dell’Europa.
In primis, sono stati resi noti i dati sul il PIL tedesco – la cui performance è stata confermata – e soprattutto sulle esportazioni, che hanno sofferto la prima flessione dal 2012, alimentando diversi interrogativi.
Poi, è stata la volta dell’indice Ifo, che ha messo in evidenza come la fiducia delle aziende verso i fondamentali dell’economia tedesca inizi a perdere colpi.
Il dato è sceso a 105,7 a febbraio, dai 107,3 di gennaio, al minimo dal dicembre del 2014, con il calo che è stato il più forte dal 2011.
Dati così non sembrano essere più eccezioni.
Nel mese di febbraio, il Pmi manifatturiero del paese è scivolato infatti ai minimi in 15 mesi. E la creazione di nuovi posti di lavoro nel mercato apparentemente molto solido della Germania è stata la più lenta in quasi un anno.
Nel commentare i dati sul Pil, intervistato da Bloomberg, Ralph Solveen, economista presso Commerzbank a Francoforte, ha fatto notare che “gli investimenti sono stati piuttosto solidi – riferimento alla crescita degli investimenti in conto capitale, che nell’ultimo trimestre del 2015 sono saliti +1,5%”, ma ha anche tenuto a precisare che “considerata la debolezza del trend delle esportazioni, si comprende che l’economia tedesca fa fronte a un problema”.
E il problema, per una economia che esporta in tutto il mondo, prende soprattutto i nomi di Cina e di crisi dei mercati emergenti.
Che sia favorevole o meno alle manovre di politica monetaria della Bce, in questo momento Berlino non ha molta scelta. D’altronde, finora il calo dell’ euro ha reso le sue merci – come quelle del resto dell’Eurozona- più facilmente esportabili, in un contesto difficile.