Vogliamo davvero farla funzionare l’Unione europea? Vogliamo vederli realizzati gli Stati Uniti d’Europa?
A volte gli “shock” sono dei sollecitatori eccezionali e non programmati per ritrovare equilibri soddisfacenti idonei a proseguire in sicurezza un certo cammino (politico, sociale, economico …).
In termodinamica si apprende che lo stress termico (o shock termico) è uno stato di sollecitazione interna ad un materiale causato da variazioni termiche che, se brusche, possono causare in elementi fragili (ad esempio lastre di vetro) la loro rottura.
Questo fenomeno è tanto più marcato tanto minore è la conducibilità termica del materiale e/o tanto più rapido è lo sbalzo termico. Lo stress termico avviene anche in caso in cui si crea un raffreddamento di una delle due superfici, soltanto che in questo caso la parte resa più fredda tende a contrarsi e quella più calda si oppone a tale movimento.
Il referendum del 23 giugno 2016 improvvidamente propugnato dal britannico David Cameron potrebbe rappresentare lo “shock termico” che giunge al momento opportuno, provvidenziale, per la “rivisitazione e risistemazione” di elementi sconclusionati della incompleta costruzione europea.
Giocattolo sta per rompersi
Vista la scarsa, prolungata “conducibilità” tra Gran Bretagna (o meglio classe politica locale) e dirigenza dell’Unione europea, il progetto referendario inglese potrebbe portare ad una rottura del giocattolo Europa (moneta unica compresa) o, al contrario, potrebbe rappresentare la molla che porta al suo completamento ed al suo profittevole funzionamento in prospettiva.
Il tentativo in corso di affratellare la Borsa valori di Londra (London stock exchange ) con quella di Francoforte (Deutsche Boerse) è un segnale illuminante e prepotente lanciato dagli uomini dell’industria e della finanza delle due parti in gioco (tre parti, ad essere buoni, includendo la borsa italiana incorporata in quella londinese) che, con la mente ed il portafoglio viaggiano veloci e concludenti sugli scenari economici prospettici, a differenza della lentezza e dell’opportunismo disgregante della classe politica interessata.
Non fa testo la trattativa di questi giorni tra Cameron e Commissione europea per guadagnare trattamenti economici privilegiati a favore del socio britannico, tesa innanzitutto a “portare a casa” visibilità politica ed elettorale ad uso interno da parte del contraente Cameron, proprio in vista dell’appuntamento referendario del 23 giugno 2016.
Di fatto la trattativa ed i risultati tanto pubblicizzati e commentati appaiono una sceneggiata che danneggia l’immagine del partner inglese ma toglie punti e credibilità anche alla Comunità europea, sollecitata ed ingabbiata a forza in una trattativa che sa tanto di ricatto.
Occorre cogliere la palla al balzo. Inutile dire che tra i tanti problemi che caratterizzano la vita dei 18 Paesi aderenti al patto dell’Euro (fiscale, normativo, giudiziario, amministrativo, ecc.) quello relativo al peso del “debito pubblico” dei partecipanti al patto monetario appare condizionante e portatore di diffidenza non celata tra la Germania (in particolare) ed altri componenti interessati al problema (Italia in primis).
Mi chiedo se non sia possibile ed opportuni intervenire sullo specifico tema investendo la Banca Centrale europea in qualità di “motore” per il riallineamento del peso riferito al debito pubblico in relazione alla ricchezza nazionale prodotta (PIL) dai singoli Stati partecipanti al patto dell’euro.
Era stato deciso in sede europea che i singoli Stati dovessero avere un debito pubblico pari al 60 per cento del PIL nazionale o perlomeno che dovessero tendere nel tempo verso quell’obiettivo di finanza pubblica.
E’ inutile insistere: gli Stati direttamente interessati (Italia in testa in uno alla Grecia) non riescono a perseguire l’allettante obiettivo, nonostante i tentativi continuativamente posti in essere.
A titolo d’esempio, il nostro Paese registra un rapporto tra debito pubblico (2.190 miliardi di euro) e PIL nazionale pari al 132,5 per cento. Per ridurre detto rapporto del 132,5 per cento a quello immaginato e programmato del 60 per cento, il Governo italiano dovrebbe “liberare”, meglio “rimborsare circa mille miliardi di euro di buoni del tesoro emessi a più riprese per rifinanziarsi.
A questa operazione straordinaria potrebbe provvedere la BCE, assumendo su di se i mille miliardi in questione, e riportando la situazione finanziaria italiana ad un punto di partenza tale da renderla allineata e competitiva rispetto agli altri 17 partecipanti al “gioco” della moneta unica e condivisa.
Ovviamente il rapporto del 60 per cento potrebbe essere posizionato ad un livello più o meno elevato in rapporto alle convenienze ed alle intuizioni che la politica europea ritenesse opportune e sopportabili, per il bene di tutta la Comunità, con estensione anche agli altri dieci Paesi dell’Unione, al momento non allineati monetariamente.
Qualcuno potrebbe osservare che i mille miliardi di euro” abbuonati” all’Italia sono un favore eccessivo. A questa osservazione, di per se legittima, si può argomentare che i mille miliardi caricati a debito pubblico italiano sono stati comunque spesi, in massima parte, nella Comunità europea ed a beneficio di aziende ed istituzioni comunitarie ed hanno, in tal modo, apportato direttamente e indirettamente giro d’affari e reddito ai molteplici destinatari.
Gli Stati Uniti d’Europa
A questo intervento, per certi versi eccezionale e scioccante, dovrebbero essere collegate delle misure che aumenterebbero il peso dell’organo comunitario nella definizione delle linee di condotta dei singoli Stati “bonificati” e, all’occorrenza, nella “gestione diretta” della rispettiva cosa pubblica nazionale.
L’Unione europea, dovrebbe, tanto per cominciare, nominare un Ministro del Tesoro europeo con legittimità, capacità di intervento e direzione della politica economica e finanziaria dei singoli Stati in via diretta e tramite commissari di sua fiducia e nomina.
La supervisione in atto delle maggiori banche nazionali (cosiddette sistemiche) da parte della BCE sarebbe di per se un braccio operativo di grande rilevanza per l’azione attiva e propositiva del nuovo Ministro del Tesoro europeo.
I Governi nazionali, in questa nuova impostazione di “governance europea” dovrebbero lavorare sul campo e guadagnarsi il grado di affidabilità nei riguardi del costituendo Ministero del Tesoro europeo con conseguente, possibile autonomia di manovra nelle di scelte economiche e finanziarie del loro Paese, in linea stretta con il dettato comunitario.
Con gli “Stati Uniti d’Europa” e con la nuova figura di Ministro del Tesoro europeo il “disallineamento economico” del Mezzogiorno d’Italia, le riforme strutturali a livello nazionale, quelle davvero consistenti ed incidenti, la protezione del risparmio europeo, oggi in balia di provvedimenti innaturali, sarebbero temi e problemi più facilmente supportabili e risolvibili.