ROMA (WSI) – La Cina lo spaventa mentre, riguardo agli Stati Uniti e all’Europa, guarda con scetticismo alle scelte di politica monetaria che sono state prese sia dalla BCE di Mario Draghi che dalla Fed di Janet Yellen. Sull’Europa, poi, il verdetto è quello di un’economia che, “nel complesso, è molto debole con effetti catastrofici sui paesi sudeuropei”; e di un sistema in cui il limite è “l’inviolabilità dell’euro”. Intervistato da Birgit Haas e Daniel Tost del Business Insider Deutschland Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia, si mostra in generale piuttosto deluso per le decisioni che sono state prese sia dai leader politici che dalle autorità monetarie di tutto il mondo.
Non nasconde di essere preoccupato per il futuro del progetto europeo, “un progetto europeo di pace e di prosperità”, che ha bisogno in modo cruciale dell’integrazione, “anche se l’idea dell’euro è stata una cattiva idea”. Ora, questo progetto rischia di saltare a causa del pericolo Brexit. Ma “il Regno Unito ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno del Regno Unito”.
Critico della Germania e dell’austerità imposta, l’economista parla dell’assenza di progressi nell’Eurozona e non può fare a meno di tornare sulla questione della Grecia.
“Si potrebbe dire che un’uscita (della Grecia) dall’euro sarebbe stata una scelta migliore. Se la Grecia fosse stata capace di lasciare l’euro con i migliori auguri e la buona volontà dell’Europa, nel 2010, sarebbe stato traumatico, ma meno traumatico di quanto è accaduto. Ma non penso che quella opzione sia stata mai sul tavolo. Cosa avrebbe potuto limare i danni? Il punto è che quanto è accduto (poi) non ha funzionato. La Grecia è ancora nell’euro (Ma) il rapporto tra il debito e il PIL non è stato mai così alto. Non solo tutta questa austerità non ha risolto il problenma fiscale, non lo ha portato neanche nella giusta direzione (…) Alla fine, la Grecia non solo non ha avuto modo di raggiungere un accordo migliore, ma non ha avuto neanche la possibilità di mettere in atto un ciclo di ripresa”.
E qui il verdetto, che ci fa chiedere anche se i mercati, invece di esultare alla famosa frase pronunciata da Draghi “L’euro è irreversibile” avrebbero dovuto, semmai, ripiegare.
“Se il limite è che l’euro è inviolabile, allora non c’è nulla. Allora vuol dire che la Grecia è semplicemente alla mercè del sistema”.
L’esempio:
“Facciamo finta che la Spagna non abbia mai aderito all’euro. Avremmo assistito a un forte crollo della peseta. E quindi a questo punto, probabilmente, avremmo assistito a un aumento significativo dell’attività manifatturiera della Spagna. L’idea seconco cui non c’è nulla che non possa essere fatta non è esatta. Una volta stabiliti i prezzi giusti, molte cose potrebbero accadere”.
E perchè pensare che gli investimenti stranieri diretti sarebbero a rischio?
“Se parliamo di turismo, le catene di alberghi vanno dove ci sono le opportunità. Se parliamo di attività manifatturiera, non c’è ragione di credere che gli investimenti non possano presentarsi. E’ una situazione strana: tante persone dicono di essere totalmente a favore del libero mercato, ma poi sembra che i prezzi non importino. E invece importano”.
E riguardo alla politica monetaria?
“La politica monetaria convenzionale ha un effetto pari a zero. E’ molto difficile addurre prove sul fatto che le manovre di Quantitative easing hanno effetto solo in quanto cambiano le aspettative della gente. La politica monetaria è un fattore molto marginale in quello che sta accadendo”. Dunque: “la cosa principale che avremmo dovuto imparare è che la politica monetaria non è sufficiente. E’ davvero necessario che ci sia anche una politica fiscale. Ma ciò non sta accadendo”.
Krugman non si limita a criticare, ma lancia anche una proposta, partendo dal presupposto che “la politica monetaria funziona nel far credere alla gente che i target dei fondamentali dell’economia sono cambiati”. In questo momento, quanto le banche centrali stanno facendo in un periodo di tassi di interesse molto bassi conta davvero poco. Abbiamo bisogno di qualcosa che cambi la nostra idea su quello che le banche centrali faranno in futuro. Per esempio, potrebbe essere necessario portare la gente a pensare che la Banca centrale sia disposta ad accettare un maggiore livello di inflazione rispetto al passato, in modo tale che se e quando un’economia stesse attraversando una vera ripresa, a fronte di un aumento significativo dell’inflazione, la Banca centrale non alzerebbe i tassi di interesse”.
Passando dalla teoria alla pratica:
“Se si portasse la gente a pensare che la Federal Reserve non alzerà i tassi fino a un tasso di inflazione pari al 3%, ci sarebbe un grande cambiamento nel modo in cui la Fed verrebbe percepita. Ma la Fed ha iniziato ad alzare i tassi di interesse anche se l’inflazione non arriva neanche al 2%”. E ancora, “se Mario Draghi tenesse una conferenza stampa, e dicesse: “Ho un accordo e anche la Bundesbank è con noi. Il nostro nuovo target dell’inflazione non sarà più tra lo zero e il 2% ma attorno al 3%. E non smetteremo di adottare misure espansive di politica monetaria fino a a quando non arriveremo a quel punto e certamente non alzeremo i tssi fino a quando l’inflazione non sarà il 3%’. Tutto cià avrebbe un grande effetto sulle aspettative della gente. Ci sarebbe un cambiamento di regime”.
Sulla Cina:
“La Cina ha un enorme problema di aggiustamento. Ha una economia che si regge su livelli insostenibili di investimenti e che ha bisogno di attuare una transizione radicale dagli investimenti ai consumi. E non sembra che ce la stia facendo. Ha un grande problema interno, il debito, e sembra che il governo non abbia le idee chiare al riguardo. La loro risposta alle difficoltà economiche sembra essere quella di censurare la stampa finanziaria, costringendola a scrivere belle storie”.