ROMA (WSI) – Sono cinquemila i posti di lavoro a rischio nelle prossime settimane nei call center e 8mila nei prossimi mesi. A lanciare l’allarme sulla crisi del comparto le sigle sindacali Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil. Sono circa 80mila infatti i lavoratori nei call center del nostro paese su cui pesano come una spada di Damocle la delocalizzazione e le gare al massimo ribasso che fanno sentire i loro effetti sulla pelle dei lavoratori.
Il motivo? “Vincono società che offrono prezzi irrisori, violando le norme sul mercato e quelle sul lavoro”- come denunciano i sindacati e come riporta Il Fatto Quotidiano. Il che si traduce nella perdita di posti di lavoro.
“Nei prossimi mesi oltre 8mila licenziamenti nel settore dei call center, di cui almeno la metà vedrà aprire le procedure di licenziamento già nel mese di marzo”.
Un problema che si ritrova non solo nelle aziende private ma anche in quelle pubbliche come Poste ed Enel, Gepin Contact e Uptime – gestori dei call center di Poste Italiane – qualche mese fa avevano aperto procedure di licenziamento per 450 persone a Roma e Napoli. Come sottolinea Michel Azzola di Slc Cgil:
“Ma Poste, come tante altre imprese committenti, ha utilizzato gare al massimo ribasso per assegnare le commesse. Chi vince queste gare sono società che offrono prezzi irrisori, violando le regole del mercato e le norme del lavoro, se non addirittura aziende decotte“.
E l’effetto domino si è fatto subito sentire travolgendo anche altri call center come Almaviva, presente soprattutto al Sud occupando circa 3500 persone. Recentemente ha perso una commessa di Enel e da qui il rischio licenziamenti è molto alto.
“E’ del tutto inaccettabile che due aziende controllate dallo Stato italiano, come Poste ed Enel, possano assegnare attività di call center senza rispettare le clausole sociali approvate dal Parlamento. Se passa il principio che le aziende pubbliche non rispettano le leggi, perché mai dovrebbero farlo quelle private?”.
Alla situazione non certo rosea per i call center si aggiunge la recente decisione dell’Inps di inquadrare il settore come terziario e non più come industria. Cosa significa? Che le aziende di call center non possono più chiedere ammortizzatori sociali ma possono solo fare affidamento sugli strumenti in deroga di durata minore e con procedure più complesse.
Prima uno sciopero nazionale indetto per l’11 marzo poi la sospensione in vista del tavolo tecnico aperto sul tema dal Ministero dello Sviluppo economico il prossimo 9 marzo. Cosa chiedono i sindacati? L’applicazione da parte delle aziende della legge sugli appalti, entrata in vigore a febbraio 2016 in cui si prevede la clausola sociale, per cui i lavoratori di call center hanno diritto al loro posto di lavoro quando l’impresa committente decide di cambiare operatore.