ROMA (WSI) – Ci sarebbero loro, le banche, dietro l’improvviso rally dei prezzi del petrolio, che ha permesso al contratto Brent di toccare e superare la soglia dei $40 al barile, per la prima volta dagli inizi di dicembre. I buy scatenati hanno consentito sia del Brent che al contratto WTI scambiato a New York di balzare oltre +40% rispetto ai minimi dell’anno, testati a gennaio.
Il rally è stato alimentato dal boom degli “short squeeze” sui contratti del petrolio. Per short squeeze – in italiano ricoperture di scoperto – si intende un improvviso rally delle quotazioni di un asset, che provoca una veloce chiusura delle posizioni scoperte, sostenendo ancora di più le quotazioni.
A provocare il fenomeno sarebbero state appunto le potenziali vittime numero uno di una eventuale catena di default (comunque già in corso) delle società attive nel settore energetico e delle commodities. Ovvero, le banche, che hanno erogato prestiti al comparto delle aziende di materie prime: prestiti che, molto probabilmente, diventeranno – o lo sono già diventati – crediti non perfomanti.
In particolare, le banche hanno alimentato gli short squeeze sui titoli del settore energetico, come hanno spiegato nei giorni scorsi gli stessi analisti di UBS:
“Non c’è alcun dubbio sul fatto che la performance di oggi sia stata totalmente condizionata dalle operazioni di short squeeze”, ha scritto UBS lo scorso 3 marzo, facendo riferimento agli acquisti sul sottoindice dei titoli energetici, che ha riportato la migliore performance tra i settori dell’indice S&P 500.
Così, ancora, HSBC:
“E’ come se le banche stessero orchestrando uno squeeze, per permettere alle società produttrici di gas di scisto di dare il via a operazioni di aumento di capitale, che permetteranno loro successivamente di rimborsare i prestiti garantiti ricevuti, prestiti garantiti il cui recupero è praticamente non esistente in caso di bancarotta dell’azienda”.
Di conseguenza le banche avrebbero dato il via al boom delle operazioni di short squeeze attraverso gli ETF sul petrolio.
Dal New York Shock Exchange arriva poi l’esempio, con un articolo dal titolo abbastanza eloquente. “Perchè JP Morgan sta partecipando all’aumento di capitale di una società insolvente”?
Il caso è quello di Weatherford International, “un’azienda così altamente esposta al rischio che ha bisogno di azioni per riuscire a rimanere a galla. Con un rapporto debito/EBITDA pari a 8 e l’imminente scadenza per rimborsare un capitale di $1 miliardo, il prossimo anno, il gigante dei servizi petroliferi è nei guai”.
L’azienda è comunque in trattative con JP Morgan Chase, “per rinegoziare una linea di credito rinnovabile, l’unica cosa che sta permettendo alla società di sopravvivere. Tuttavia, attraverso una mossa che ha provocato choc sui mercati finanziari, JP Morgan ha guidato anche un’offerta di azioni sul mercato, che si è tradotta in una raccolta, a favore di Weatherford, di $565 milioni. (Il punto è) che, si guarda al valore di liquidazione, Weatherford è insolvente. L’interrogativo rimane: perchè mai JP Morgan dovrebbe rischiare la propria reputazione, piazzando sul mercato azioni di una società insolvente?”.
Stando al prospetto:
“nel quarto trimestre del 2015, Weatherford aveva liquidità per $467 milioni e debiti per $7,5 miliardi. Il suo debito era così suddiviso: linea di credito rinnovabile di $967 milioni; altri crediti ricevuti nel breve termine per $214 milioni; e l’attuale porzione di un debito a lungo termine di $401 milioni; un debito a lungo termine di $5,9 miliardi.
Di fatto:
“JP Morgan (in quanto banca che cura l’operazione di collocamento delle azioni della società, insieme a Morgan Stanley), sta raccogliendo azioni di una società che ha prospettive discutibili e utilizzando i fondi, al fine di permettere alla società stessa di rimborsare i debiti che ha contratton nei confronti di JP Morgan stessa”. Con l’accordo, la banca Usa riuscirà infatti a godere di un diritto di prelazione rispetto ai creditori che hanno erogato prestiti subordinati.
Finalmente, potrà poi uscire dal pantano in cui è andata a finire erogando crediti a Weatherford, “prima che la nave affondi”.