MILANO (WSI) – L’Arabia Saudita sta pagando a caro prezzo la battaglia che lanciò, due anni fa, per piegare l’Iran. Nick Giambruno, analista molto vicino al venture capitalist, Doug Casey, ritiene infatti che nel 2014 venne siglato un patto informale Arabia Saudita-Usa, attraverso l’incontro tra il Segretario di Stato americano John Kerry e il re Abdullah che si tenne nel settembre di quell’anno.
Un incontro che diede il via all’inondazione di petrolio nei mercati internazionali da parte dell’Arabia Saudita.
In un editoriale Giambruno riassume i passaggi di una storia che vede l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti alleati per danneggiare gli avversari geopolitici nel teatro mediorientale: Iran e Russia. Per entrambi i Paesi il petrolio costituisce una primaria fonte di reddito e attaccarne il prezzo ha, in effetti, prodotto alcuni risultati in questo senso.
Dall’incontro fra Kerry e Adullah il prezzo del greggio è sceso nell’ordine del 70%.
Ma secondo Gianbruno, l’Arabia Saudita, che pure è in grado di pompare petrolio con profitto a prezzi molto più bassi rispetto alla concorrenza internazionale, sta lottando per mantenere intatto il peg della moneta nazionale col dollaro, a prezzo di una costante erosione delle riserve valutarie estere. La spesa pubblica del Paese, inoltre, dipende dalle esportazioni di petrolio per il 90%, un altro elemento che virtualmente fa pensare che la sovraproduzione Saudita, non sarà una strategia destinata a durare ancora a lungo.
L’Arabia Saudita è riuscita a infliggere anche un durissimo colpo alle aziende energetiche Usa. Dopo le iniziali resistenze molte imprese attive nel settore dello Shale Oil hanno ceduto alla pressione negativa dei prezzi: almeno 67 imprese americane sono finite in bancarotta, mentre altre 150 sono in condizione di rischio. La Shale industry, scrive, Gianbruno, è in “survival mode”.
Ma quell’incontro del 2014 potrebbe avere nuovi e drammatici effetti. Diverse sono le banche che hanno erogato lauti finanziamenti alle società Usa attive nel settore del gas di scisto. Diverse sono le banche che potranno non rivedere mai più quei prestiti. Il sistema finanziario rischia un’altra grave crisi. E da tutto questo l’Arabia Saudita non ne uscirà vincitrice, dal momento che già si parla della crisi economica più forte dalla fondazione del Regno, nel 1932. E i più pessimisti parlano anche di un’economia vicina al collasso.
Se l’Arabia Saudita non riuscirà a tutelare il peg della sua valuta riyal con il dollaro, alla fine il riyal sarà svalutato, con una impennata dell’inflazione nel paese. Le casse del Regno intanto si stanno dissanguando per finanziare le guerre in Yemen e Siria. I sauditi erano convinti di poter armare i ribelli siriani e di mettere KO il governo di Assad in pochi mesi. Ma hanno fatto male i loro conti.