Dopo aver riscosso una certa attenzione in Italia e in Spagna, paesi che hanno attraversato lunghi anni di recessione e risultati economici deludenti, la Modern Money Theory sta salendo nel dibattito anche negli Stati Uniti; a darne conto oggi è uno dei principali media della community finanziaria, Bloomberg.
Ora che il consenso generale sta virando verso critiche sempre maggiori riguardo all’efficacia risolutiva delle politiche monetarie, l’accento sta tornando nuovamente sugli stimoli fiscali. Gli stessi che in questi anni di dura austerità e responsabilità di bilancio erano stati messi in soffitta.
“C’è un certo riconoscimento, anche nella comunità degli investitori, che la politica monetaria sta finendo le sue munizioni”, dice Thomas Costerg, economista della Standard Chartered Bank, “il focus ora si sta spostando sulla politica fiscale”.
Cosa c’entri lo stimolo fiscale con la Modern Money Theory (che ha visto il giornalista Paolo Barnard fra i suoi più ferventi divulgatori in Italia) è presto detto. Secondo questa teoria lo stato, quando emette la moneta con la quale stampa i suoi titoli, virtualmente ha sempre la possibilità di ripagare i propri debiti, attraverso la monetizzazione dei deficit. Ne consegue il fatto che, per finanziare gli investimenti pubblici utili a ridare slancio alla ripresa e alla domanda, lo stato non sia affatto costretto ad aumentare le tasse. Se per l’impostazione corrente un comportamento del genere condurrebbe immediatamente a un’inflazione stellare, la MMT risponde che la quantità di risorse, di lavoro in particolare, inutilizzate nell’economia attuale sono tali da offrire molto spazio a investimenti in deficit senza che questi generino iperinflazione. Le tasse, per l’MMT, servono per raffreddare l’economia in caso di necessità, e, aspetto fondamentale, sono necessarie per instaurare l’accettazione della moneta da parte della popolazione, che con essa, appunto, deve pagare le tasse.
La Modern Money Theory esiste da circa un ventennio ed è sempre rimasta ai margini della comunità accademica. Le cose stanno cambiando?
Gli economisti della MMT “sono fuori dalle banche centrali, dai ministeri delle Finanze e del Tesoro del mondo” dice a Bloomberg Joe Gagnon, senior fellow presso il Peterson Institute for International Economics, il quale aggiunge “potrebbe essere un buon momento per loro affinché riacquistino influenza”.
Un segno di questo cambiamento è possibile riscontrarlo nella campagna del candidato alla Casa Bianca, Bernie Sanders, che promette un piano di potenziamento della sanità pubblica e la rimozione delle tasse universitarie. Per quanto non si tratti di veri e propri fautori della teoria, gli advisor di Sanders, Stephanie Kelton e James K. Galbraith, sono certamente coscienti della MMT.
Fonte: Bloomberg