Economia

Alert Bankitalia su BCC. Ma “estinzione credito cooperativo firmata da riforma”

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ROMA (WSI) –Banche italiane sempre e ancora sotto i riflettori. Un nuovo alert arriva dalla stessa Bankitalia, per bocca del capo della vigilanza Carmelo Barbagallo, che afferma che nel settore del credito cooperativo ci sono circa cinquanta banche di credito cooperativo (o BCC) più fragili, “un numero non marginale”, che rischiano di scatenare nuove tensioni finanziarie.

Così Barbagallo che, parlando in un convegno che si è tenuto alla Fondazione Italianieuropei, ha sottolineato che:

“la componente più fragile del settore è individuabile nelle Bcc che presentano contemporaneamente coefficienti di capitale più bassi e tassi di copertura inferiori a quelli medi del sistema bancario nazionale”. Ancora, ” in base ai primi dati riferiti a dicembre 2015, le Bcc in tale condizione erano circa 50 e rappresentavano il 16% dell’attivo della categoria. In tale contesto, aumenta la probabilità che un numero non marginale di Bcc vada incontro a tensioni a causa della difficoltà di alimentare il patrimonio nella misura e con la rapidità imposti dal contesto regolamentare, istituzionale e di mercato”.

Tuttavia, dopo la recente riformadel settore del credito cooperativo, c’è qualcuno che sottolinea come proprio le norme appena varate possano aver gioà condannato all’estinzione “un sistema che in Italia durava da 130 anni”.

Così denunciano Sandro Palombini e Marco Bindelli, rispettivamente presidente e vice presidente della BCC di Civitanova Marche e Montecosaro. Bindelli, lo ricordiamo, ha sempre strenuamente difeso il sistema delle BCC, mettendo in guardia tutti da una riforma che ha definito fin da subito incostituzionale.

Ora che la riforma è stata varata, insieme a Palombini, valuta così il testo:

“Ricucito lo strappo nel Pd e distrutto un sistema che operava da oltre 130 anni”. E ancora: “pace fatta nel Pd e credito cooperativo verso l’estinzione”.

Di seguito il testo Palombini-Bindelli.

L’intero credito cooperativo risulta sconfitto

“Dopo i primi commenti dei deputati del Pd sembrava che il decreto legge di riforma del credito cooperativo potesse essere migliorato, ed invece, sicuramente a causa della lettera inviata al governo dai 20 senatori del partito di maggioranza, stando agli emendamenti e alle modifiche introdotte nel corso dell’esame in sede referente che hanno stravolto il decreto legge n. 18/2016, Renzi e Padoan escono sconfitti, ma probabilmente restano al loro posto, mentre Federcasse e Bankitalia appaiono come i vincitori in grado di riportare la riforma alla struttura inizialmente proposta. In una riforma il cui testo che sarà presentato all’Aula di Montecitorio non conserva né i principi mutualistici e cooperativi né quelli di solidarietà e autonomia nel rapporto con i territori, l’intero Credito Cooperativo risulta sconfitto. Tuttavia, chi sconterà maggiormente le modifiche apportate in sede referente, saranno le BCC di piccola e media dimensione che hanno sempre operato correttamente ed onestamente a vantaggio dei propri territori, nonché dei propri soci, clienti e dipendenti”.

I dirigenti non fanno nulla per nascondere il loro sconcerto:

Come si fa a parlare di mutualismo, cooperazione e solidarietà quando, per una cooperativa bancaria, si impone l’obbligo di essere assoggettata a direzione e coordinamento di una società per azioni avente un patrimonio minimo di un miliardo di euro e ad una sub-holding, sempre società per azioni, probabilmente governate da coloro che hanno avuto come unico scopo quello di assicurarsi il proprio potere? Certo è che, se a dirigere le holding e le subholding fossero state chiamate persone tipo Draghi, Passera, Messina, ecc., non sarebbe stato ugualmente mantenuto il principio mutualistico e cooperativistico ma, con ogni probabilità, si sarebbero forse risolti i veri problemi del Credito Cooperativo: governance, efficienza ed innovazione. E invece, come da più parti si è già sottolineato, posizioni apicali e responsabilità importanti in tema di direzione e coordinamento che saranno svolte dalla capogruppo permarranno in capo a chi ha mostrato non ineccepibili capacità gestorie delle BCC che rappresentano e, soprattutto, in capo a chi è stato destinatario di provvedimenti sanzionatori da parte della Banca di Italia. In un Paese normale ciò non succederebbe, in Italia invece è la regola“.

Tutto questo mentre invece Barbagallo, sempre nel suo intervento odierno, sottolinea convinto come le le modifiche al decreto sul credito cooperativo che sono state approvate in Parlamento migliorino l’efficacia della riforma delle Bcc. Barbagallo dice:

“Nell’iter parlamentare di conversione del decreto sono stati approvati taluni emendamenti, alcuni dei quali particolarmente importanti, attinenti alla governance e al capitale della capogruppo nonché alla cosiddetta Way-Out per le Bcc che non vogliano aderire a un gruppo. Si tratta di miglioramenti che, se definitivamente confermati, rafforzerebbero di molto l’efficacia della riforma”. Per il numero uno della vigilanza di Bankitalia: “una buona riforma deve essere capace di coniugare l’obiettivo di favorire il rafforzamento patrimoniale delle Bcc con quello di tenere conto dei vincoli posti dalla normativa per il riconoscimento del gruppo e di creare i presupposti per una crescita di efficienza e per il miglioramento della qualità degli assetti di governo e di gestione delle singole Bcc”.

Palombini-Bindelli: in presenza di un mostro giuridico

“Da un punto di vista tecnico-giuridico, il DL n. 18/2016 approvato dal Consiglio dei Ministri, seppur fortemente criticabile sotto diversi aspetti, in particolare per il venir meno del principio di indivisibilità delle riserve e per l’arbitrarietà della soglia minima dei 200 milioni di patrimonio netto prevista per la way out, e sebbene prevedesse una soglia di patrimonio alquanto elevata per la costituzione della capogruppo (un miliardo di euro), era riuscito quanto meno a rispettare i principi di libera iniziativa economica sanciti dall’art. 41 della Carta Costituzionale ed a mitigare i rischi di incostituzionalità di cui all’art. 45, rischi che risultano invece accentuati nel progetto di riforma proposto da Federcasse in condivisione con Bankitalia. Renzi e Padoan, nonostante avessero messo in discussione il principio della indivisibilità delle riserve attraverso il pagamento di un’imposta straordinaria comunque elevata per l’affrancamento delle riserve, concedendo 18 mesi di tempo alle BCC per decidere se entrare nel gruppo unico o trasformarsi in società per azioni (anche aggregandosi con altre), obbligavano, di fatto, le candidate capogruppo ad essere “appetibili” e a produrre un piano industriale serio, efficiente e nell’esclusivo interesse delle BCC e del Paese. Le modifiche apportate dalla commissione in sede referente, invece, oltre ad aver realizzato un “obbrobrio giuridico” che calpesta gli articoli 41 e 45 della Carta Costituzionale, obbliga tutte le BCC a decidere, in appena 60 giorni dalla conversione in legge del DL, sull’eventuale esercizio della way out senza conoscere: a) chi sarà la capogruppo o le capogruppo, b) gli statuti, i piani industriali e la governance di queste e c) il contenuto minimo del contratto di coesione, la cui redazione è ora demandata alla Banca d’Italia. A parte quelle BCC per le quali la way out era stata pensata e introdotta appositamente nel DL (si tratta di alcune BCC con un patrimonio superiore a 200 milioni di euro e che hanno avuto la fortuna di avere i “giusti” appoggi politici), tutte le altre 350, di fatto, non hanno più alcuna possibilità di scelta dal momento che, entro 60 giorni dalla conversione in legge del decreto, dovrebbero chiedere all’organo di vigilanza di poter conferire l’intera azienda bancaria in una società per azioni nella quale conferisce anche la BCC con un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro, la quale, evidentemente, ha già deciso di non aderire alla (ignota) capogruppo e che, conseguentemente, si assicurerà la maggioranza dei voti della nuova s.p.a. bancaria, anche dopo il conferimento della piccola BCC. In altri termini, mentre per la costituzione della capogruppo si concedono 18 mesi di tempo dall’entrata in vigore delle norme attuative del MEF, a tutte le BCC che al 31 dicembre 2015 non possiedono un patrimonio netto di almeno 200 milioni di euro, a prescindere dalla propria solidità patrimoniale, viene chiesto di scegliere, probabilmente senza nemmeno avere il tempo di consultare i proprietari, ossia i propri soci, tra morire nella sconosciuta capogruppo società per azioni (probabilmente governata dai “soliti noti” che spesso hanno anche male amministrato le proprie BCC) o scomparire all’interno di una nuova società per azioni governata da una BCC con un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro della quale nulla viene richiesto in termini di solidità patrimoniale e/o di efficienza e trasparenza. E’ evidente, dunque, che la way out appare più larga solo per quelle BCC con un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro che sperano di assorbire quelle piccole e virtuose che intenderanno accodarsi. Quella che risulta attualmente, più che una possibilità di uscita dalla capogruppo società per azioni sembra un obbligo ad aderire ad una sconosciuta capogruppo, tanto più se si considera che occorrerà pagare addirittura un’imposta (più correttamente una tassa) pari al 20% del patrimonio netto della quale nessuno riuscirà mai a fornire una giustificazione logico-giuridica, dal momento che le riserve indivisibili non verrebbero affrancate e, anzi, resterebbero in capo alla conferente BCC che cambierebbe il proprio oggetto sociale e, soprattutto, se si considera che tale operazione è già stata effettuata in passato da diverse cooperative, sia rosse che bianche, è che mai nessuna ha dovuto scontare alcuna tassazione. E’ evidente, inoltre, che con queste modifiche emendative, che hanno reintrodotto le proposte di Federcasse non accolte dal governo, si intende favorire l’autocandidatura di ICCREA Holding S.p.A. proclamata a Roma il 4 marzo scorso in occasione dell’assemblea straordinaria dei soci, ossia la candidatura della società costituita per razionalizzare la fornitura di servizi alle BCC e spesso criticata proprio per l’inefficienza di alcune sue società, oltre che per la scarsa trasparenza adottata nella gestione”.