ROMA (WSI) – A che punto è il piano di fusione tra BPM e Banco Popolare? A parlare del caso delle due banche popolari è stata oggi la numero uno della vigilanza sulle banche della Bce, Daniéle Nouy.
Nouy ha definito l’operazione eventuale di fusione “molto importante”: una operazione che deve avere “successo”, in quanto “probabilmente sarà la prima di una serie”. Di conseguenza, è fondamentale che i requisiti siano “adeguati” e che “la banca (risultante dalla fusione) sia “forte fin dall’inizio”.
“Sarà la terza banca italiana e deve dunque versare in condizioni che siano paragonabili con quelle delle sue pari. Questa è la ragione per cui facciamo la vigilanza”.
Non è mancato l’avvertimento:
“Sappiamo tutti che in altri Paesi, e forse anche in Italia, alcune fusioni e alcune operazioni hanno finito per creare una situazione peggiore. Per questo motivo stiamo lavorando molto duramente con i colleghi italiani, affinché ci siano i requisiti adeguati. Non più del dovuto, ma neanche meno”. Insomma: “diamo il benvenuto alle fusioni in Italia ma devono essere fusioni che abbiano successo“.
BP ha perso fino a -5% nelle contrattazioni di oggi, sulla scia delle indiscrezioni secondo cui la banca veronese sarebbe pronta a varare un aumento di capitale. Si parla di una operazione che potrebbe avere un valore, stando a quanto hanno riportato nella giornata di ieri tre fonti sentite da Reuters, fino a un miliardo di euro. Una delle fonti ha precisato che l’istituto starebbe considerando, oltre all’aumento di capitale di 1 miliardo, anche una riduzione dei crediti deteriorati per un valore di 500 milioni di euro circa.
Proprio l’AD di Banco Popolare, Pier Francesco Saviotti, che in precedenza aveva escluso una qualsiasi operazione di aumento di capitale per facilitare la fusione con BPM, aveva aperto sabato scorso, in occasione della riunione con gli azionisti, all’opzione di raccogliere capitali freschi.
Bce, ovvero il Grande Fratello che controlla le banche italiane? Lo sfogo
Intanto proprio oggi Reuters ha pubblicato un articolo in cui sottolinea come la Bce continui a monitorare praticamente ogni giorno la liquidità di alcune banche italiane, come Carige e MPS, lavorando insieme a Bankitalia. Non solo: la Bce continua a inviare missive chiedendo alle banche italiane più deboli di aumentare i loro capitali, di trovare un acquirente e di smobilizzare i bad loans, ovvero i crediti deteriorati.
Una fonte di una banca italiana interpellata da Reuters si è sfogata:
“Telefonano, inviano email e vengono a vederci”. E ancora: “Sono una presenza costante. Per una ragione o per un’altra c’è sempre una ispezione. Direi che sono qui due mesi su tre”.
Insomma, una Bce versione Grande Fratello, che teme il settore bancario italiano e che, come aggiunge Reuters, invia lettere a Veneto Banca e a Popolare di Vicenza, che insieme dovrebbero raccogliere capitali per un valore di 2,75 miliardi in cash.
Così Andrea Resti, consulente al Parlamento Ue sulla supervisione bancaria, intervistato da Reuters:
“L’autorità di regolamentazione è estremamente cauta e in modo particolare sull’Italia è severa e attiva, ma la situazione avalla questo atteggiamento”.
Dopo tre anni di recessione, le banche italiane fanno i conti con un carico di crediti deteriorati del valore di 360 miliardi di euro, un terzo dei crediti deteriorati di tutte le banche europee e un quinto del PIL dell’Italia.
Nicolas Veron, esperto di servizi finanziari presso il think tank di Bruegel, a Bruxelles, ha ricordato che:
“un terzo delle banche che non hanno superato i testi della Bce era composto da banche italiane, ma da allora non molto è cambiato”. Veron ha fatto anche notare che la fragilità del settore risiede nel suo essere frammentato, con 650 banche, molte delle quali hanno forti legami con le comunità locali. “Non voglio dire che le banche di altri paesi non abbiano problemi, ma in Italia la questione è più diffusa, perchè ci sono molte banche piccole che non dispongono di quella capacità di assorbire gli choc che invece si rinviene nelle banche più grandi.
Nouy cautamente ottimista su gestione crediti deteriorati in Europa
Nouy non ha parlato solo del caso delle banche italiane. Proprio a proposito del problema dei crediti deteriorati che assilla il comparto bancario dell’Eurozona, ha precisato di aspettarsi progressi nei prossimi anni.
“La Bce ha lavorato intensamente con le banche…affinché esse sviluppino piani di azione..individuali. Sebbene ci vorrà del tempo per ridurre il carico dei crediti deteriorati, possiamo aspettarci un buon progresso nei prossimi anni“. Il funzionario della Bce ha ricordato che “gli NPL (appunto crediti deteriorati, non-performing loans) zavorrano la reddività e il capitale, e ostacolano la capacità delle banche di erogare nuovi prestiti”.
Parlando a Bruxelles durante una audizione alla commissione economica del Parlamento Ue, Nouy ha sottolineato che al momento i livelli degli accantonamenti delle banche sono già “ragionevoli”. Preoccupazione è stata mostrata riguardo al rischio che il contesto di bassi tassi di interesse possa di fatto erodere gli utili di alcune banche, limitando la loro capacità di generare capitale.
“Un livello di bassa redditività è fonte di preoccupazione per i supervisori perchè potrebbe avere un impatto sulla sostebilità di alcuni modelli di business nel medio termine (…) Certi istituti potrebbero far fatica a generare capitali, avendo tra l’altro accesso limitato ai mercati finanziari“.