ROMA (WSI) – Accanto all’esercito dei disoccupati, c’è l’esercito di giovani che non frequentano scuole di nessun tipo e non svolgono nessun tipo di lavoro. Un esercito che in Italia conta più di 2,3 milioni di giovanni, di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Una cifra pari al 24,7%, ovvero a più di un quarto del totale. E’ questo il quadro che emerge dal rapporto “Noi Italia” reso noto oggi dall’Istat, da cui emerge che la cifra, su base percentuale, ha segnato un calo per la prima volta dalla crisi. Nel 2014 la percentuale era pari al 26,5%.
Nella categoria spiccano soprattutto le donne e il Mezzogiorno. In particolare l’incidenza tra le donne è del 27,1%, mentre nel Mezzogiorno, si mettono in evidenza i casi Sicilia e Calabria, dove giovani che non hanno alcun tipo di impegno – noti come Neet – arrivano addirittura a sfiorare il 40%.
L’incidenza è più elevata tra le donne (27,1%) e nel Mezzogiorno (in Sicilia e Calabria sfiora il 40%). Il primo ribasso dall’inizio della crisi.
Riguardo invece ai giovani che rientrano in una fascia di età più elevata, nel 2015 “il 25,3% dei 30-34enni ha conseguito un titolo di studio universitario, un livello di poco inferiore al 26% stabilito come obiettivo per l’Italia ma lontano dal 40% fissato per la media europea”. La quota dei laureati sale dal 23,9% dell’anno precedente, ma si rimane molto lontani dal target che era stato fissato nella Strategia Europa 2020.
Nel 2015 il tasso di disoccupazione dei giovani 15-24enni scende al 40,3% (2,4 punti percentuali in meno rispetto a un anno prima), ma è record di disoccupati nel Mezzogiorno (54,1%), soprattutto in Calabria, dove si arriva a un tasso del 65,1% e tra le ragazze (58,1%).
Poco meno di sei disoccupati su dieci (58,1%) cercano lavoro da oltre un anno, in riduzione dal 60,7% del 2014. Il calo della disoccupazione di lunga durata interessa oltre la metà delle regioni e ha coinvolto soprattutto le donne. Il tasso di mancata partecipazione, che tiene conto di quanti sono disponibili a lavorare pur non cercando attivamente lavoro, si attesta al 22,5% nel 2015, in calo di 0,4 punti sul 2014. La riduzione è leggermente maggiore nel Mezzogiorno, anche se in questa ripartizione il valore rimane più che doppio rispetto al Centro-Nord.
Il tasso di disoccupazione complessivo scende di 0,8 punti rispetto al 2014, riportandosi dopo due anni sotto il 12%. La riduzione interessa entrambe le componenti di genere, ma risulta più rilevante per le donne. Rimangono forti le differenze territoriali, con un tasso nel Mezzogiorno di poco inferiore al 20%. E’ quanto rileva il rapporto “Noi Italia” dell’Istat.
Sempre nel 2015, l’incidenza del lavoro a termine sale al 14%, più alta nelle regioni meridionali (18,4%) rispetto al Centro-Nord (12,5%), al massimo dal 2004 e rispetto al 13,6% del 2014. Il tasso di mancata partecipazione rallenta per la prima volta dal 2006 e riguardo al quadro dell’occupazione, l’Istat rivela che:
“Nel 2015 risultano occupate oltre 6 persone in età 20-64 anni su 10, ma è forte lo squilibrio di genere a sfavore delle donne (70,6% gli uomini occupati, 50,6% le donne) come il divario territoriale tra Centro-Nord e Mezzogiorno”. Ancora:
“Nella graduatoria europea relativa al 2014, solamente Grecia, Croazia e Spagna presentano tassi di occupazione inferiori a quello italiano mentre la Svezia registra il valore più elevato (74%).
Eclatante la differenza in generale tra il Nord e il Sud dell’Italia.
Il Pil pro capite nel Mezzogiorno (16.761 euro) è quasi la metà di quello del Nord Ovest (30.821) e poco cambia se si guarda al Nord Est (29.734 euro). I numeri in questo caso sono relativi al 2014, quindi non è possibile avere un quadro completo di come l’aumento del Pil nel 2015, pari a +0,8%, abbia condizionato il Pil pro-capite nel corso del 2015. Il dato del 2014 mette in evidenza una media nazionale del Pil pro capite di 25.256 euro, al record minimo dal 2004, ovvero in ben dieci anni.
L’Istat ricorda che “nel 2013, le famiglie residenti in Italia hanno percepito un reddito disponibile netto (esclusi i fitti imputati) pari, in media, a 29.473 euro, circa 2.456 euro al mese. Tuttavia, poiché la distribuzione dei redditi è asimmetrica (il valore medio è decisamente superiore a quello mediano), il 50% delle famiglie ha percepito un reddito non superiore a 24.310 euro, corrispondente a 2.026 euro al mese”.
In questo contesto, nel periodo compreso tra il 2013 e il 2014 l’incidenza della povertà, relativa e assoluta, rimane stabile. La povertà relativa coinvolge circa un decimo delle famiglie residenti, quella assoluta il 5,7%. Inoltre nel 2014 il dato di grave deprivazione materiale, termometro delle difficoltà economiche,scende ma a essere coinvolte sono ancora ben 4 milioni di persone.
La quota delle persone colpite scende infatti all’11,6% (era del 12,3% nel 2013). Nel dettaglio, il valore del Mezzogiorno, 19,9%, equivalente ad oltre 4 milioni di individui, “per quanto in forte diminuzione, è più elevato di quello rilevato in tutto il Centro-Nord (7,2%, quasi 3 milioni di individui).
Il quadro che emerge nel complesso è quello di un’Italia molto vecchia, dove si fanno ancora meno figli, e dove pochi sono i matrimoni.
Al 1 gennaio 2015 si registrano 157,7 anziani ogni 100 giovani. E 55,1 persone in età non lavorativa ogni 100 in età lavorativa. A fronte di ciò, secondo le prime stime relative al 2015, per la prima volta negli ultimi 10 anni, la speranza di vita alla nascita arretra, con un decremento di 0,2 punti per gli uomini (80,1) e 0,3 per le donne (84,7). Nel Mezzogiorno i valori della speranza di vita si confermano al di sotto della media nazionale.
Ci sono inoltre 3,2 matrimoni ogni mille abitanti, e anche in questo l’Italia è fanalino di coda dell’Unione europea.