BUENOS AIRES (WSI) – E’ la fine di un’era in Argentina: dopo ben 15 anni è stato revocato il default del paese sudamericano, entrato nella storia come l’esempio più clamoroso di bancarotta del debito sovrano di uno Stato fino alla crisi della Grecia.
Era stato il giudice distrettuale statunitense Thomas Griesa ad emettere un ordine di divieto per l’Argentina di pagare interessi attraverso banche Usa al 93% dei suoi creditori, quelli che avevano deciso di scambiare i propri bond con nuovi titoli. Ora quella decisione è stata abrogata. La Corte di appello di New York ha deciso infatti di revocare le restrizioni contro il paese, ponendo così fine al default dell’Argentina che può tornare a emettere obbligazioni per 15 miliardi di dollari per pagare i creditori, anche quelli italiani.
Era dal 2001 che l’Argentina non offriva sul mercato titoli di stato e l’operazione prossima riguarderà soprattutto le piazze finanziarie di New York e Londra. La decisione della Corte d’appello newyorchese arriva dopo che il paese ha raggiunto nelle scorse settimane un accordo con i creditori “holdout”, che non avevano cioè aderito alle offerte di concambio degli scorsi anni e si erano rivolti con successo al tribunale di New York. L’accordo prevede il pagamento di oltre 8 miliardi di dollari principalmente a un gruppo di hedge fund guidati dalla Elliot Management Corp. Ma a decretare la parola fine al default dell’Argentina soprattutto l’elezione del nuovo presidente Mauricio Macri che il 10 dicembre scorso aveva iniziato il difficile cammino delle trattative tra il Paese e i possessori dei controversi titoli, cosa che il suo predecessore, l’ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner aveva sempre rifiutato di seguire.
A commentare la notizia con un articolo pubblicato sul New York Times, il premio Nobel Joseph Stiglitz secondo cui la decisione del governo di Mauricio Macri “è un’eccellente notizia per un piccolo gruppo di investitori ben vincolati e una terribile notizia per il resto del mondo, soprattutto per quei paesi che debbano far fronte alle loro crisi di debito nel futuro”.