La scorsa settimana la sorpresa nei bilanci trimestrali di Liberty Surf e T-Online, unita alle due nuove acquisizioni internazionali di Tiscali, hanno riportato con forza l’attenzione degli investitori sugli Internet service provider. Di fronte a questi nuovi dati si potrebbe avere la tentazione di tornare a scommette sul settore, magari impiegando parte della liquidità progressivamente drenata dal mercato negli ultimi mesi.
Lo stato attuale del comparto tuttavia non lascia una solida e duratura ripresa dei corsi non solo per fattori di contesto (difficoltà di tutti i settori high tech in particolare e delle borse in generale, rallentamento macroeconomico e trend degli utili ancora in fase calante…); ma anche a causa di motivazioni prettamente endogene. Prima fra tutte la considerazione che il settore sta vivendo, attraverso un processo di apprendimento per errori, una profonda fase di ristrutturazione, alla ricerca di un nuovo modello di business. Le strutture finanziarie, già generalmente stressate, saranno costrette in questo processo evolutivo a subire ulteriori forti pressioni in quanto i prossimi stadi di transizione dovrebbero prevedere una ulteriore crescita dei costi con ricavi ancora estremamente bassi.
Inoltre, la concorrenza sempre più serrata (sono attivi più di 3.000 ISP di medie e piccole dimensioni) terrà in scacco sul fronte dei prezzi anche i leader di mercato. La conquista della redditività, oltre che spesso ancora del break even, potrebbe diventare un obiettivo spostato ulteriormente in vanti nel tempo.
E’ probabile che la parte più corposa dei cambiamenti avrà luogo nei prossimi 2-18 mesi e che questo sarà quindi un periodo di estrema volatilità. In questo contesto l’unica indicazione sicura è che, se si decide di scommettere sul settore, sono da prediligere i leader. Non solo perché il processo di selezione naturale agirà in questo come in altri comparti portando alla eliminazione delle realtà più piccole e deboli, ma anche perché i primi tre operatori in ogni paese saranno i poli aggreganti di quel processo di concentrazione che inevitabilmente avrà luogo.
Anche alla luce di quest’ultima considerazione è difficile che nel breve periodo gli ISP possano dare soddisfazione a meno di rischiose scommesse speculative; venendo per altro da una situazione di eccessivo premio di borsa sui multipli (nonostante le forti flessioni dell’ultimo anno), multipli che hanno ancora nella maggior parte dei casi come punto di riferimento il fatturato e non gli utili che non vengono prodotti.
Attualmente in Europa sopravvivono ancora tre diversi modelli di sottoscrizione negli ISP a seconda della modalità di ricarico sul cliente. Ma la stessa esperienza americana, introdotta già ampiamente in UK, dà una indicazione verso la convergenza alla forma unica del libero accesso. Anche senza volersi spingere alla previsione estrema (già in fase di ipotesi operativa negli USA) di consentire non solo l’accesso a Internet ma anche le telefonate gratuite (lasciando come unico effettivo centro di profitto il traffico dati); l’evoluzione attuale è per la trasformazione dell’ISP in un puro centro di costo, in cui il servizio offerto sarà sempre più assimilabile a una commodity e per la cui profittabilità si dovrà sempre più fare ricorso a fonti di entrate alternative: prime fra tutte pubblicità ed e-commerce.
Sia che l’ISP sia un operatore telefonico sia che rappresenti una realtà a esso alternativa sopravvivono ancora (ad esempio in UK e Francia) casi di modello di sottoscrizione a pagamento con l’utente che remunera sia l’ISP che il fornitore del servizio telefonico (con l’ISP che poi gira parte delle entrate al gestore della rete che a sua volta remunera l’operatore locale). Esempi di ISP riconducibili a questo modello sono Wanadoo, Aol, T-Online…
Il secondo modello di pagamento che non prevede sottoscrizione venne introdotto per la prima volta nel 1998 da Freeserve e prevede solo il pagamento da parte dell’utente dell’operatore telefonico, che poi remunera a sua volta il possessore della rete per la fruizione di quest’ultima e l’ISP stesso per il traffico generato sulla rete. Oltre a Freeserve ricorrono a questo sistema altri operatori come Liberty Surf. L’evoluzione più estrema di questa forma ha portato allo sviluppo di un terzo modello che non prevede obbligo di sottoscrizione per l’utente, ma lo libera anche dall’onere di pagamento dell’operatore telefonico, di cui si fa carico l’ISP, così come della remunerazione dell’uso della rete.
Alla base del passaggio verso forme sempre più sussidiate di accesso alla rete c’è la necessità di conquistare la più ampia base cliente possibile nel più breve tempo, in ragione del fatto che la quota di mercato sta diventando sempre più la variabile critica di riferimento. Inoltre, dovendo fronteggiare costi di acquisizione di nuovi clienti crescenti a un ritmo estremamente sostenuto, gli ISP hanno necessità in questa fase, che può ancora essere considerata pressoché iniziale, di accaparrarsi clienti anche mettendo fortemente sotto pressione la struttura dei costi; fino al paradosso di subire perdite temporanee per garantirsi un rapporto stabile e fidelizzato con l’utente tanto da rendere costoso e svantaggioso anche per lui il passaggio verso un altro operatore.
Alla base di questo approccio vi è anche la valutazione ulteriore del fatto che il valore che un consumatore è in grado di generare una volta che abbia avuto a disposizione una connessione è superiore al costo del traffico stesso in rete e cioè al sussidio del tempo speso on line.
Come ammesso da molti ISP i ricavi di interconnessione da soli, ove ancora esistenti, non sono sufficienti a coprire i costi, con i secondi che superano i primi anche del 25%-30%. Questo impone che le perdite siano compensate con nuove fonti di entrata in grado di valorizzare la base clienti acquisita a così caro prezzo, ma soprattutto l’allungamento del tempo stesso di connessione.
D’altra parte il mercato di Internet è ancora profondamente giovane in Europa e rappresenta un bacino di potenzialità non sfruttata. Il pc, già di per sé, ha nel Vecchio Continente un bassissimo tasso di penetrazione: se in America già nel 1998 il tasso era superiore al 50%, nonostante un tasso medio composto atteso del 35%/40% per i prossimi anni, la stessa percentuale non dovrebbe essere raggiunta in Europa prima del 2005. Il mondo Internet ha avuto e avrà ancora freni ulteriori: le barriere linguistiche, la dimensione troppo spesso “locale” dei contenuti di portali che aspirano a essere internazionali, la gestione ancora quasi monopolistica degli operatori telefonici locali e l’ostacolo dei costi di accesso ancora elevati; oltre che alla mancanza di una legislazione comune sull’IVA (che oscilla dal 15% al 5% a seconda dei casi) e la presenza del LLU (local loop unbundling) solo in pochissimi paesi.
Il superamento di questi ostacoli, oltre che di quelli relativi alla sicurezza per le transazioni in rete, sono gli ingredienti chiave del futuro successo di ogni operatore che sia in qualche modo legato alla rete e degli ISP più che mai.
La profittabilità (e quindi la sopravvivenza stessa) degli ISP è legata sempre più alla loro capacità di diventare ISP/portali con la componente “portale” di elevata qualità in modo da rendere la struttura un punto di riferimento per l’e-commerce, la pubblicità, l’offerta di servizi a valore aggiunto (video conferenze, pay-per-view…). Un passaggio verso questo modello potrebbe anche prevedere la vendita da parte degli stessi ISP delle infrastrutture. Il che vuol dire non solo il miglioramento della base “hardware” del cliente; ma soprattutto la vendita di pacchetti di servizi la cui struttura tecnologica sia una dotazione gratuita.
Basta vedere cosa è accaduto al tempo speso in rete dagli utenti di Aol con la semplice introduzione di tariffe flat alla fine del 1996: un incremento immediato del traffico del 70%.
Del resto il sussidio della distribuzione è già ampiamente diffuso tra gli altri media (dai giornali alla radio alla tv), che hanno trasferito il loro centro principale di ricavi nella pubblicità. Il problema è che, allo stato attuale, il costo della connessione sta diminuendo in modo significativo, ma non altrettanto quello delle infrastrutture: ecco perchè gli ISP diventano non solo delle commodity, ma soprattutto dei centri di costo il cui valore è legato alla capacità futura di qualificare il proprio marchio attraverso la qualità del portale di riferimento.
La segmentazione di marchio, prodotti e servizi farà la differenza rispetto all’offerta del semplice servizio di interconnessione e sarà il perno intorno al quale ruoterà la capacità di sfruttamento del cross-selling nei servizi, trasformando il traffico in nuovi ricavi. Con il vantaggio aggiuntivo derivante dalla targettizzazione del servizio di rendere accessibili come potenziali clienti anche fasce di utenza fino ad ora trascurate.
Del resto, l’esperienza degli ultimi due anni dimostra che il valore dell’utente è notevolmente cresciuto sia in relazione al calo dei costi di connessione che alla crescita della qualità di alcuni portali, che sono divenuti punti di riferimento. E proprio l’esperienza del leader Aol (il cui tempo di connessione per utente è pressoché doppio rispetto al più diretto concorrente) dimostra che la chiave di valore è la qualità del portale, unica garanzia di fedeltà di un utente per il quale i costi iniziali di investimento da parte degli ISP sono notevoli. Soprattutto tenuto conto che l’ISP non solo non ha controllo sul tempo reale di connessione, ma non ha garanzie soprattutto di permanenza dell’utente nel sito; con conseguente fruizione dei servizi offerti e generazione di un ritorno per l’ISP dell’investimento iniziale.
La possibilità, inoltre, di disporre di database con i profili utenti mette nelle mani degli ISP una potenziale nuova fonte di ricavi di estremo interesse per le strategie di vendita sia tradizionali che on line.
*Donatella Principe è responsabile della ricerca economica presso il centro studi del Gruppo Banca Popolare di Vicenza.