Gli effetti del QE sono disomogenei: la strategia monetaria del Giappone ha probabilmente raggiunto i suoi limiti e la BoJ sembra per ora aver accantonato la tentazione del “sempre di più”. La fleboclisi finanziaria della Bce sorregge l’economia europea: il paziente non peggiora ma la guarigione è lenta. Quanto alla Fed, Janet Yellen, lanciata in un delicato esercizio da trapezista, sussurra ai mercati che, se le condizioni lo permetteranno, i tassi statunitensi dovranno per forza di cose normalizzarsi…
Se si osservano le tre macroaree che hanno testato le politiche accomodanti, la prima evidenza non fa che portare acqua al mulino dei loro detrattori: in Giappone, in Europa e negli Stati Uniti, queste strategie innovative sono riuscite a espandere la massa monetaria, ma la velocità della moneta si è talmente ridotta – contro ogni aspettativa – che l’impatto sui prezzi è stato il contrario di quanto ci si aspettava.
Invece, se si studiano le valorizzazioni delle società americane, appare che il Dow Jones e lo Standard & Poor’s hanno tratto decisamente vantaggio dall’abbondante liquidità. In che misura? O, girando la domanda: “Quale sarebbe il valore dei mercati senza gli interventi della Fed?”
Un modo per rispondere consisterebbe – come hanno fatto recentemente due economisti della Fed – nel calcolare semplicemente quella che sarebbe stata la performance dei mercati statunitensi sostituendo la performance delle giornate in cui si è tenuto un meeting della Fed con la performance media del periodo.
La conclusione è sorprendente: fino al 1985, le quotazioni dei mercati con o senza Fed meeting sarebbero state identiche. Dopo tale data, un mercato le cui performance conseguite nelle giornate di Fed meeting fossero sostituite dalle performance medie registrerebbe oggi un livello inferiore del 25%.
Le parole dei banchieri centrali hanno quindi avuto un effetto innegabile sui multipli di borsa: “All’inizio era il Verbo”… E anche alla fine!
Un’analisi più dettagliata del periodo di osservazione rivela inoltre che l’effetto più marcato si ha nel periodo 2008-2012. È abbastanza logico: all’effetto sorpresa del 2008 aveva fatto seguito un effetto “dimensionale”, vista l’entità di queste politiche. Dal 2012 invece l’effetto è nettamente diminuito, traducendo probabilmente l’erosione dovuta all’abitudine e l’usura degli operatori che hanno ormai bisogno di stimoli sempre più ravvicinati per reagire.
Per noi investitori, questa usura è un indizio supplementare che rende ancora più acuta la nostra paranoia a proposito dei grandi vincitori delle politiche di QE, i famosi “bei modelli di crescita ben valorizzati”. Parallelamente, ci invoglia anche a rivolgerci nuovamente ad alcuni titoli poco amati, i “negletti” delle politiche delle Banche centrali. In una parola, a riascoltare l’appello del “call value”, tanto caro ai nostri amici anglosassoni.
1. La velocità di circolazione della moneta (V) è legata alla quantità di moneta disponibile (M), all’ammontare della ricchezza creata (P) e al livello di produzione (Q) secondo l’equazione: [M x V = P x Q]
2. The Pre-FOMC Announcement Drift, Federal Reserve Bank