ROMA (WSI) – In questa nuova riunione del G7 di Sendai, in Giappone, torna di scena la guerra valutaria. La svalutazione della propria moneta viene vista ormai da diverse economie, Giappone in primis, come l’unica arma che rimane per stimolare una crescita che continua a confermarsi zoppicante, se non latitante. Così come latitante, e questo vale anche per l’Eurozona, l’inflazione. In realtà , il Giappone non si è mai fatto grandi problemi a tentare il possibile per deprezzare la sua valuta, lo yen, per sostenere la crescita delle sue esportazioni. Tuttavia, nell’attuale contesto economico globale, è quanto mai probabile che gli altri partner commerciali si opporranno alla sua eterna svalutazione competitiva.
L’ironia è che, con il pessimismo che troneggia ovunque, tanto che ad aprile il Fondo Monetario Internazionale si è trovato costretto a tagliare le stime sul PIL mondiale per la terza volta in soli sei mesi, lo yen ha ritrovato tutta la sua forza visto che, per sua natura, è una valuta rifugio. Tant’è che Tokyo sta minacciando un nuovo intervento sui mercati per deprezzare una moneta che non si è indebolita neanche con l’introduzione dell’ era dei tassi negativi, da parte della Bank of Japan, a fine gennaio.
Gli Stati Uniti si sono dichiarati già contrari all’assunto secondo cui lo yen sarebbe troppo forte. Lo scontro, nella riunione dei ministri delle finanze e banchieri centrali di questo fine settimana, sarà dunque probabilmente soprattutto tra Usa e Giappone. E’ vero che lo yen, secondo alcuni strategist, potrebbe fare dietrofront dopo i rialzi riportati dall’inizio dell’anno, visto che proprio negli ultimi giorni i mercati sono tornati a speculare su un rialzo dei tassi da parte della Fed, nel mese di giugno (sulla scia di tali aspettative, lo yen sta già perdendo terreno, a fronte di un rialzo del dollaro).
Tuttavia, le aziende giapponesi non vogliono certo limitarsi a sperare o a dipendere dalle mosse della Fed e, preoccupate per il calo delle esportazioni e per gli utili più deboli, stanno facendo pressioni da tempo sulle autorità monetarie del paese perché svalutino lo yen. Tale possibilità sta facendo tremar ele aziende Usa, che temono che il rialzo del dollaro metterà a rischio la loro redditività – come sta comunque già avvenendo-. Tra l’altro, proprio gli esportatori Usa e i sindacati ritengono che le manipolazioni sulle valute da parte di Cina, Giappone e Corea del Sud siano responsabili dei licenziamenti e della crisi dell’attività manifatturiera degli Stati Uniti.
Il balzo del 20% che il dollaro ha segnato nei confronti delle principali valute al mondo, nel corso degli ultimi due anni, ha reso chiaramente più costosi i prodotti Usa esportati, contribuendo allo smorzarsi della crescita dell’economia americana. D’altro canto, lo yen è in rialzo +9,5% nei confronti del dollaro dall’inizio dell’anno.
Sadayuki Sakakibara, presidente di Keidanren, gruppo di lobbisti numero uno in Giappone, ha così detto in un’intervista al Wall Street Journal:
“Un eccessivo rapido apprezzamento dello yen, come quello recente, è alimentato dalla speculazione e non ha niente a che vedere con i fondamentali dell’economia reale. E’ naturale che le autorità monetarie cerchino di porre un freno a tali movimenti”.
Gli economisti Usa hanno giĂ lanciato un avvertimento , spiegando come una eventuale decisione del Giappone di intervenire sullo yen avrebbe un effetto domino, scatenando una guerra valutaria in tutto il mondo, anche da parte di un altro campione delle esportazioni: la Cina.
E il segretario al Tesoro Usa Jack Lew è stato chiaro:
“Se le economie non rispetteranno gli accordi presi, si sarà in presenza di un fattore capace di provocare forti danni”. Una violazione di quegli accordi, ha continuato – in risposta alle minacce del Giappone di intervenire sullo yen- “è qualcosa che provocherebbe un grave danno all’economia globale e alle relazioni (tra i paesi).
Obiettivo ufficiale dei paesi del G7 – che includono oltre Giappone e Usa Regno Unito, Canada, Francia, Germania e Italia – è forgiare una strategia per allontanare la minaccia di una recessione globale. Ma anche su questo fronte il raggiungimento di un accordo si presenta difficile. Il premier giapponese Shinzo Abe preme sulla leva della politica fiscale, e auspica l’incremento della spesa pubblica per risollevare i fondamentali dell’economia. Proposta che tuttavia, ossessionata dal tarlo dei conti pubblici, è stata accolta in modo molto freddo dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. E neanche il premier britannico David Cameron ha fatto salti di gioia.
Tornando alla Germania, lo stesso ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble proprio questa settimana ha ribadito l’importanza di attuare le riforme, più che di focalizzarsi su politiche espansive, siano essere monetarie o fiscali. Se la linea sarà questa, l’Europa rimarrà dunque a guardare gli Usa e il Giappone scontrarsi sul tema delle valute. E, come se l’Eurozona potesse permetterselo, alla fine il rischio sarà l’apprezzamento dell’euro, visto che la Germania e Bruxelles dicono no a tutto.
Presenti, nel corso del G7, i ministri delle finanze e i banchieri centrali dei paesi del G7: ci sarĂ dunque anche il numero uno della Bce, Mario Draghi.