Nonostante il prezzo scontato del petrolio l’economia globale crescerà meno di quanto fosse lecito attendersi. Anzi, proprio il calo del petrolio danneggerà Paesi dell’Africa, Asia e Sud America, che dipendono dalla vendita di energia, più di quanto non favorisca quelli che importano oro nero. Infatti la riduzione dei prezzi dell’energia non è riuscita a innescare gli aumenti di spesa attesi nelle economie più sviluppate. Lo scrive l’ultimo bollettino pubblicato dalla Banca mondiale, secondo la quale la crescita globale si fermerà al 2,4% quest’anno, abbassando le proprie previsioni dal +2,9% dello scorso gennaio.
E’ una delle previsioni meno generose fra quelle delle istituzioni internazionali: lo scorso aprile il Fondo Monetario internazionale, ad esempio, aveva previsto un rialzo del Pil mondiale del 3,2%. Per quanto riguarda gli Stati Uniti la Banca mondiale prevede una crescita al 2% stabile anche l’anno prossimo, mentre l’eurozona dovrà accontentarsi dell’1,6% sia nel 2016 sia nel 2017, per poi calare a +1,5% nel 2018.
Per quanto riguarda i Paesi più esposti al calo dei prezzi del petrolio l’istituto presieduto da Jim Yong Kim, ritiene che altri elementi abbiano contribuito a determinarne il rallentamento: gli scambi globali più deboli, la frenata degli investimenti pubblici e privati e il calo dell’attività manifatturiera. La recente ripresa di alcune materie prime come l’acciaio, l’alluminio, lo zinco e lo stesso petrolio, scrive la Banca mondiale, non riesce a raggiungere quello che era il livello delle aspettative del mercato.
Fra le riforme in grado di invertire la tendenza nel medio periodo, suggerisce il capo economista dell’istituto basato a Washington, Kaushik Basu, ci sono “gli investimenti in infrastrutture e istruzione, salute, in altre abilità umane, nel benessere, così come iniziative valide a promuovere diversificazione economica e a migliorare gli standard di vita”.
Fonte: Guardian