LONDRA (WSI)- Uno dei punti interrogativi che sorge a poche ore dall’esito referendario tenutosi in Gran Bretagna che ha decretato la vittoria della Brexit, quindi l’uscita del paese dall’Unione europea, è cosa decideranno di fare le aziende e le imprese operative con sede a Londra.
Dubbio che nasce considerando che molte di esse avevano annunciato di voler lasciare la City in caso di vittoria del fronte del Leave – cosa che è accaduta – e molti broker avrebbero interrotto le attività di trading per timore di quel mix esplosivo rappresentato da alta volatilità e scarsa liquidità.
La City è da sempre considerato il centro finanziario d’Europa ma ora tutto è stato rimesso in discussione dopo che il 52% degli inglesi ha votato a favore del “Leave”, l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Qualche giorno prima della chiamata degli inglesi alle urne, il Daily Telegraph aveva parlato di un documento in preparazione da parte del gruppo di imprese TheCityUk, composto per lo più da grandi banche come Citigroups e Lloyds, nonché studi legali e assicurativi, forti sostenitori dell’Ue, che si stavano preparando al peggio, ossia l’uscita dalla zona euro, cosa che è accaduto.
Nel piano d’azione, si ipotizza un’uscita soft con un periodo transitorio affinchè si assicurino non troppo scossoni da un giorno all’altro. Il piano doveva essere sottoposto al governo ma ad oggi non ci sono notizie ufficiali. Anche perché il primo ministro David Cameron si è dimesso e ha parlato delle nomina del suo successore in ottobre, il nuovo premier inglese che guiderà il Regno Unito fuori dall’Ue. Le imprese inglesi avevano optato per l’adozione di un meccanismo simile ad un passaporto per permettere alle aziende del Regno unito di operare in tutto il mondo. Come scrive il Daily Telegrah citando il documento:
“Il Regno Unito ha bisogno di lavorare duramente per mantenere la sua competitività internazionale”.
E cosa succederà alle imprese italiane?
A dare qualche numero qualche giorno fa, in merito soprattutto alle imprese dislocate in Lombardia, è stata la Camera di Commercio di Milano. Le imprese legate al Regno Unito sono circa il 40% e vantano accordi commerciali di valore pari a 9 miliardi di euro l’anno, pari al 27% del totale italiano e in crescita dell’1,8% in un anno. Gli effetti della Brexit si faranno sentire.
La situazione appare più complessa per le imprese italiane con sede a Londra, soprattutto in riferimento ai giovani startupper italiani che operano nel settore tech. Come riporta un articolo de Il fatto Quotidiano, raccontando l’esperienza di molti giovani italiani trapiantati a Londra dove hanno dato vita a start up di successo, in gioco c’è “la propria vita privata ma anche il destino delle aziende che hanno fatto nascere e crescere in Gran Bretagna”.