Un paradiso della Casta, un inferno per i risparmiatori. Matteo Corsini riprende con un articolo pubblicato sul sito Il rischio Calcolato un dibattito sempre vivo – soprattutto in tempi di vari bazooka monetari o fiscali lanciati in tutto il mondo – tra chi è per il contenimento del debito pubblico e tra chi invece ritiene che l’ossessione per i conti pubblici e il deficit – ossessione tipicamente tedesca – finisca con il danneggiare gli stessi fondamentali del vero indicatore che dovrebbe crescere: il Pil, ovvero l’economia.
Il dibattito è quanto mai attuale, visto il nuovo record del passivo statale italiano, forse la principale spina nel fianco dell’economia italiana. Stando ai dati che sono stati resi noti dall’Eurostat, il rapporto tra il debito pubblico e il Pil è pari al 135,4%, ovvero a 2.228.741 milioni di euro. In Europa il debito italiano è secondo solo a quello della disastrata Grecia, dove il rapporto con il Pil è del 176,3%. L’aumento del debito pubblico è stato del 2,7% nel corso del primo trimestre del 2015 rispetto all’ultimo quarto del 2015. Nell'<a href=”https://www.wallstreetitalia.com/trend/unione-europea/”>Unione europea</a> Bulgaria (+3,6%) e Belgio (+3,2 %) hanno registrato un incremento del debito pubblico maggiore.
Nella sfida di correnti di pensiero tra chi è favorevole all’intervento pubblico per sostenere l’economia e chi invece è per “l’auto gestione” del libero mercato, rientra ovviamente la teoria dell’economista John Maynard Keynes. Bazooka di natura fiscale o monetaria, l’importante è che il governo agisca per frenare quella mano invisibile del mercato che, contrariamente a quanto credeva Adam Smith, alla fine non solo non sistema sempre le cose, ma provoca anche distorsioni. Impostazione keynesiana, dunque, opposta a quella del liberismo.
Come spiega lo stesso Fmi in un articolo sulla questione: “Keynes sosteneva che i governi dovrebbero risolvere i problemi nel breve termine, invece che aspettare che le forze di mercato sistemino tutto nel lungo termine, anche perchè, come scrisse lui stesso, ‘nel lungo termine, siamo tutti morti”.
Facendo riferimento ai keynesiani, Corsini precisa che la storia da raccontare è sempre la stessa:
“A lungo andare non poteva ovviamente mancare il riferimento al “maestro”: se c’è un eccesso di risparmio che non si traduce in investimenti, o quei soldi li prende in prestito lo Stato e li spende, oppure si crea una spirale deflattiva. Una tesi molto cara ai keynesiani, che è basata sulla confusione tra quantità nominali e reali. Buona parte di quello che oggi appare risparmio inutilizzato in realtà non deriva da redditi non consumati, bensì da denaro creato dal nulla nell’ambito delle politiche monetarie espansive condotte dalle banche centrali.
Tuttavia, secondo Corsini, gli stessi keynesiani – che credono dunque che il modo per sostenere il Pil sia quello di tentare, nel rapporto debito/Pil, di varare politiche di crescita che facciano crescere il Pil nominale , ovvero il denominatore, garantendo così sia la crescita dell’economia che la riduzione del debito – parlano meno esplicitamente di q:
“Ciò che dicono meno esplicitamente è che quando il rapporto tra debito e Pil è particolarmente elevato (superiore al 100%), il metodo più efficace per far aumentare il denominatore più del numeratore è mediante l’inflazione. Un metodo che consente di evitare tagli di spesa pubblica, avere un aumento di gettito fiscale a invarianza di aliquote per via dell’aumento nominale degli imponibili e una riduzione del valore reale del debito da restituire. Un vero paradiso per chi governa, molto meno per chi ha risparmia“.