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Guerra all’ISIS in Libia senza alcuna strategia

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NEW YORK (WSI) – Barack Obama ha definito l’attacco in Libia del 2011 delle forze NATO il più grande fallimento dei suoi otto anni alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Questo perché la sua amministrazione non aveva un piano per il dopo Gheddafi. Lo si è visto con il caos in cui è stato gettato il paese negli anni successivi all’offensiva, che hanno portato al rafforzamento della presenza dell’ISIS nel territorio e a una spaccatura in tre della nazione nordafricana, terra di partenza per migliaia di rifugiati in fuga verso le nostre coste.

I giornali italiani offrono un resoconto sconcertante della mancanza di una strategia chiara nella nuova guerra lanciata all’ISIS in Libia. Quando il presidente della Commissione John McCain, senatore Repubblicano ex candidato alla Casa Bianca ha chiesto al generale Thomas David Waldhauser quale fosse la strategia americana nei confronti della situazione bollente in Libia, l’ammissione di impotenza è stata netta.

“Ha lasciato sconcertati”, dice Roberto Toscano su La Repubblica ascoltare il generale rispondere all’interrogazione dei senatori, il 22 giugno scorso, in occasione della sua conferma della nomina a responsabile del Commando africano delle forze armate Usa. “A questo punto non mi risulta esistere alcuna strategia globale”, è stata la sua risposta.

“Si sta iniziando una nuova guerra nel cuore del Mediterraneo”, scrive Il Giornale. “In quella Libia dove la destabilizzazione creata dalla guerra precedente (protagonisti sempre gli stessi attori), rende quasi impossibile prevedere le conseguenze delle iniziative militari”.

“Senza strategia, anzitutto diplomatica (a livello internazionale e interno) si alimenterà solo il caos attuale, che arriverà al parossismo. Con nocumento della popolazione locale, già più che provata dal conflitto precedente, e della sicurezza internazionale (vedi anche alla voce attentati in Italia)”.

C’è della follia ma calcolata in tutto questo. Una follia che è “. Il caos è causa di sofferenza per chi lo subisce. Per chi lo crea può rappresentare un’opportunità”.