L’Isis è in grado di produrre armi chimiche, che ha già avuto modo di utilizzare almeno in un caso accertato, nel villaggio di Marea, 25 chilometri a Nord di Aleppo; a scriverlo è un rapporto dell’Onu incaricato di riconoscere i responsabili di una serie di attacchi con armi chimiche mossi fra il 2014 e il 2015. L’Isis, secondo il rapporto, non ha rubato il gas mostarda utilizzato per l’attacco, ma lo ha prodotto da sé, reperendo i materiali necessari. Un know how che lo Stato Islamico potrebbe far fruttare anche in altre aree dove operano i suoi uomini e che pongono ulteriori minacce alla sicurezza.
Oggi gli ispettori Onu mostreranno gli esiti dell’indagine sull’uso di armi chimiche al Palazzo di vetro di New York: le responsabilità che sono già trapelate dal documento non risparmiano neanche il dittatore siriano Bashar al- Assad, che si sarebbe macchiato, dopo i noti episodi del 2013 a Damasco, almeno di altri due attacchi con cloro. Viste le divergenze sulle sorti del presidente Assad da parte di Russia e Stati Uniti è facile prevedere che qualsiasi provvedimento contro di lui deciso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si scontrerebbe contro il potere di veto che Mosca ha nell’organo esecutivo dell’Onu. Stati Uniti e Francia hanno già manifestato la volontà per una risoluzione di condanna verso la Siria di Assad.
Permanendo le distanze sul futuro della Siria e del suo governo (o regime) resta da chiarire come le forze in campo riusciranno ad accordare un piano volto, perlomeno, per il contenimento di una seria minaccia alla sicurezza costituita da un Isis in grado di produrre iprite, un gas il cui utilizzo bellico risale alla Grande Guerra. I materiali per la produzione di questo gas, se reperiti altrove, potrebbero dar luogo a un nuovo genere di attacchi terroristici.