Nuovi dati confortanti – diversamente da quelli dell’Eurozona – arrivano dal fronte macro del Regno Unito. L’effetto Brexit non solo non si sta traducendo in un peggioramento degli indicatori economici, ma sembra finora che abbia avuto un impatto positivo. Non proprio una sorpresa, dal momento che la prima vittima ufficiale della Brexit è stata la sterlina, che è scesa a seguito dell’esito del referendum UK dello scorso 23 giugno. E che, proprio con la sua flessione, ha sostenuto l’export britannico. Si aggiorna lo scenario della ‘guerra valutaria, che vede tra i più avvantaggiati, ora, anche il Regno Unito.
Un altro choc positivo, per l’economia britannica, è arrivato oggi con la pubblicazione dell’indice Pmi di agosto, balzato dai 48,3 di luglio a 53,3 punti. Gli economisti avevano previsto un valore a 49 punti, dunque ancora una fase di contrazione per l’attività economica. Invece le stime sono state stracciate del tutto (da segnalare che la soglia dei 50 punti rappresenta una linea di demarcazione tra fase di contrazione – valori al di sotto – e di espansione – valori al di sopra). Il balzo dell’indice Pmi è stato il più forte in quasi 25 anni.
Le aziende britanniche – diversamente da quelle dell’area euro – sono ottimiste, anche se l’inflazione sta rialzando la testa, dal momento che l componente dei prezzi è salita al ritmo più solido in cinque anni.
Così Rob Dobson, economista senior presso IHS Markit:
“Il dato sul Pmi di agosto indica una solida ripresa nella performance dell’attività manifatturiera del Regno Unito dalla forte crisi seguita al referendum per uscire dall’ Unione europea. Le aziende hanno segnalato che gli affari che erano stati posticipati a luglio sono stati riavviati, dal momento che sia le aziende manifatturiere che i loro clienti sentono di essere tornati alla normalità. Tuttavia, l’inflazione sta rialzando la sua brutta testa. I tassi con cui stanno aumentando i prezzi, sia a livello input che output hanno testato il record in cinque anni”. In ogni caso, “è troppo presto per dire se la ripresa sia della crescita che dell’inflazione sarà sostenuta. Ma il recupero di agosto lascia pensare che il tasso di cambio più debole e le ultime decisioni di politica (economica), sono riuscite a evitare la crisi.
Diametralmente opposto il trend dell’indice PMI dell’Eurozona, che sempre ad agosto è sceso a 51,7 punti dai 52 di luglio. A incidere sulla flessione, soprattutto il dato relativo all’Italia, ma anche quello della Francia, dove il settore manifatturiero si è contratto a un ritmo più forte rispetto a quello di luglio.
Ecco la performance dell’indice Pmi nei diversi paesi dell’area euro:
Germania: 53,6 (espansione)
Olanda: 53,5 (espansione)
Austria: 52,1 (espansione)
Irlanda: 51,7 (espansione)
Spagna: 51 (espansione)
Grecia: 50,4 (espansione)
Italia: 49,8 (contrazione, e fa peggio della Grecia)
Francia: 48,3 (contrazione, la peggiore)
In generale, la crescita dell’attività manifatturiera nell’area euro è stata la più debole degli ultimi tre mesi.