NEW YORK (WSI) – Gli economisti delle Nazioni Unite temono che la terza fase della grande crisi globale debba ancora arrivare. Se i loro calcoli si riveleranno corretti, il prossimo episodio traumatico della Grande Recessione potrebbe portare con sé una serie di default di dimensioni epiche.
Un evento del genere potrebbe anche sancire la crisi definitiva del capitalismo della globalizzazione e la fine delle leggi di libero mercato promosse da ormai 40 anni dalle istituzioni di Bretton Woods, dall’Ocse e dalla comunità di potenti riunita ogni anno al World Economic Forum di Davos. Il ritorno del protezionismo, cui stiamo già assistendo, rischia di fare entrare tutti in una spirale al ribasso che non aiuterebbe nessuno a uscire dal pantano della nuova crisi.
“I campanelli di allarme sull’esplosione dei livelli di debito aziendale nelle economie in Via di Sviluppo, che ora superano i 25 mila miliardi di dollari, hanno iniziato a suonare”, si legge nel report annuale della Conferenza di Scambio e Sviluppo dell’Onu (UNCTAD).
Per molti paesi emergenti la globalizzazione semplicemente non ha funzionato. Il sospetto e che funzioni solo per quei pochi che detengono i capitali e per i loro alleati più stretti”, osserva Ambrose Evans-Pritchard in un editoriale sul Telegraph.
Si poteva prevedere che uno degli effetti collaterali velenosi delle politiche di tassi zero e dei piani di Quantitative Easing sarebbe stato quello di inondare di credito facile a basso costo i mercati emergenti, sconvolgendo le loro alchimie interne, ma secondo Evans-Pritchard “quello che era più difficile da prevedere era quanto sarebbe stato distruttivo“.
Nessuno si immaginava evidentemente conseguenze nefaste fino a questo punto. La maggior parte del denaro è andata perduta, essendo essa finita “in settori altamente ciclici e settori di limitata importanza strategica”, denuncia lo studio.
Quel che è peggio è che questi paesi hanno importato le distorsioni della finanza occidentale prima ancora di essere pronti ad affrontarne le conseguenze. “Questo ha compromesso quello che l’UNCTAD definisce “il nesso profitto-investimento” che alla fine porta a prosperità e crescita.