NEW YORK (WSI) – La decisione presa ieri dall’Opec di tagliare la produzione del greggio di 1 milione di barile al giorno taglio alla produzione petrolifera annunciata ieri, e’ un “accordo di facciata”. Così lo definisce Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, nella sua consueta newsletter settimanale, Il Rosso e Il Nero, che spiega:
“Il taglio annunciato è semplicemente la minore produzione stagionale che l’Arabia Saudita realizza in autunno e in inverno, quando i condizionatori restano spenti e la domanda interna di energia diminuisce. Solo un accordo di facciata, dunque, per strizzare gli short e impedire una caduta del greggio sotto i 40 dollari”.
Fugnoli ricorda che:
“Se il petrolio è oggi a 47 dollari e non a 100 è per due motivi. Uno, ben noto, è l’esplosione del fracking americano. L’altro, meno considerato ma altrettanto importante, è il conflitto durissimo tra Arabia Saudita e Iran”.
Sempre sul fonte della produzione, non va dimenticato che:
“Nel mondo, del resto, il petrolio continua a essere abbondantissimo. La Russia produce sempre di più, il Caspio sta finalmente decollando, l’Iraq prosegue la sua espansione. Anche se la domanda globale di petrolio continua a crescere, l’offerta la soddisfa comodamente”.
Guardando avanti l’andamento dei prezzi del greggio potrebbe essere modificato dai risultati elettorali americani. L’esperto ricorda che, al momento, Nate Silver (il migliore elaboratore di sondaggi) assegna oggi a Trump presidente il 38,6% di probabilità. “Trump ha un programma energetico straordinariamente aggressivo. Vuole rendere gli Stati Uniti totalmente indipendenti ed esportatori netti. Per questo intende deregolare il settore, autorizzare gli oleodotti bloccati, rilanciare il carbone, distrutto da Obama”.
“Ricordiamo che, se lo volessero, gli Stati Uniti potrebbero riversare nel mondo una quantità immensa di energia sotto forma di petrolio, gas, carbone e rinnovabili. Il solo Texas (si veda il numero di Limes in edicola, Texas Il Futuro dell’America) ha un potenziale superiore a quello dell’Arabia Saudita. Trump presidente potrebbe avviare questo processo anche senza l’approvazione del Congresso. Gli basterebbe, per farlo, rovesciare di segno la decretazione di Obama sul settore e cambiare il vertice dell’Epa, l’agenzia per l’ambiente” .
Risulta dunque decisivo il risultato elettorale dell’8 novembre. E non solo per il futuro delle quotazioni dell’oro nero.
“Il mondo è fermo in attesa dell’8 novembre e borse e cambi sono sempre nel loro trading range, mentre sui bond è tornata la voglia di rendimento a (quasi) tutti i costi. Dal 9 novembre avremo però un 61,4 per cento di probabilità (Clinton) che la Fed inizi a togliere la polvere nascosta in questi mesi sotto il tappeto, metta mano ai tassi e avvii una correzione sui mercati. Avremo anche un 38,6 per cento cento di probabilità (Trump) che succeda molto di più e che molte cose, a partire dal dollaro, escano da quei range che oggi ci appaiono immodificabili.
La saggezza dei Padri Fondatori ha previsto un interregno di tre mesi tra il voto e l’insediamento del nuovo presidente. L’effetto Trump del 9 novembre potrebbe essere dunque simile all’effetto Brexit del 24 giugno, ovvero una brusca correzione di qualche ora seguita dalla constatazione, da parte di qualcuno che si prende la pena di aprire la finestra e gettare uno sguardo sul mondo, che tutto, là fuori, è esattamente come era il giorno prima. Per poi farsi trovare di nuovo impreparati, qualche tempo dopo, quando Brexit arriva per davvero o quando la Yellen (dovesse succedere) annuncia le sue dimissioni”.
Fonte: Il Rosso e il Nero