Investimenti: la maledizione della capitalizzazione degli interessi
Le conseguenze della crisi finanziaria dureranno molti anni. La più importante forse è rappresentata dai tassi d’interesse ai minimi record. I tassi in declino hanno spinto verso l’alto i prezzi di azioni e obbligazioni, generando rendimenti stellari negli ultimi cinque anni. I forti rimbalzi degli asset finanziari hanno camuffato alcuni dei problemi creati dai tassi bassi.
Mentre la maggior parte dei risparmiatori è pienamente cosciente del fatto che a breve termine essi comportano guadagni minori, le implicazioni di lungo periodo sono ampiamente sottovalutate e scarsamente percepite. Le implicazioni sono ampiamente sottovalutate e scarsamente percepite. Ciò non toglie che siano destinate a sconvolgere i piani di risparmio a fini pensionistici.
Per gran parte della loro vita, gli investitori hanno fatto affidamento sul “miracolo della
capitalizzazione” degli interessi per accumulare ricchezza. Man mano che l’interesse derivato dagli
investimenti produce a sua volta interessi e questi guadagni si accumulano, gli effetti a lungo termine
sulla crescita dei risparmi diventano notevoli. Per questo molti studi hanno dimostrato l’efficacia di
cominciare a risparmiare per la pensione all’età di 20 anni anziché a 30, ossia dieci anni dopo.
Il fenomeno della capitalizzazione degli interessi ha funzionato a meraviglia negli ultimi 20 anni.
Tra il 1996 e il 2016, un portafoglio composto per il 60% da azioni e per il 40% da obbligazioni ha reso in media il 6,1% l’anno in Europa. A quel ritmo, un risparmiatore può raddoppiare il proprio capitale ogni 12 anni. Lo stesso meccanismo ha funzionato anche per le obbligazioni di alta qualità. Il tasso base medio nel Regno Unito è stato del 3,4% nel periodo, con i rendimenti attestati in media al 4,7% per i Gilt e al 3,6% per i Bund. Anche presumendo un apprezzamento nullo del capitale, questi rendimenti bastano a raddoppiare la ricchezza in un arco di 17-21 anni. Con il collasso dei tassi però la resa delle obbligazioni di fatto ha superato quella di molti portafogli bilanciati.
Ma oggi che i titoli governativi britannici ed europei offrono un rendimento di circa lo 0,5%, il miracolo
della capitalizzazione si è trasformato in una sorta di maledizione. Ai tassi attuali, ci vorrebbero circa 140 anni per raddoppiare il capitale dei risparmiatori. Questo significa che essi faranno fatica a raggiungere i loro obiettivi di pensione e non avranno alternative su cui fare affidamento.
La liquidità non offre remunerazione e diversificare nell’azionario per evitare i costosi asset a reddito fisso è una strategia ad alto rischio. In questa fase finale del ciclo, il rischio di una recessione deflazionistica potrebbe determinare un crollo delle azioni del 25-30% e senza il sostegno dei tassi in calo, esse potrebbero faticare a generare guadagni molto superiori al tasso di crescita nominale negli anni a venire.
La situazione attuale mette in dubbio la sostenibilità di molti piani pensionistici a prestazioni definite. Come è fin troppo noto a questi schemi, i tassi in caduta libera hanno fatto lievitare il valore delle passività. Al momento, l’85% di tali piani pensione è in deficit. L’impatto dell’assenza di capitalizzazione in questo settore è più evidente, in quanto si manifesta con l’insufficienza delle pensioni.
Solo che viene ignorato o allontanato dalla mente formulando ipotesi di rendimento ultra ottimistiche. Per giunta, dal punto di vista normativo e fiduciario, i trustee dei benefici definiti hanno l’onere di gestire il divario di fondi, colmando il deficit e riducendo il livello di rischio dei piani man mano che si avvicinano al finanziamento completo. Acquistando più azioni e assumendo più rischio di duration, i trustee otterrebbero un risultato opposto, in quanto reintrodurrebbero il rischio.
Adeguarsi a una nuova realtà
I trustee dei fondi pensione e i consulenti finanziari si stanno nascondendo dal problema, confidando nella possibilità di raggiungere in futuro gli stessi tassi di rendimento stellari ottenuti storicamente. Ma è tempo di fare i conti con la realtà. Spesso i dati presunti dai fondi pensione si basano su ipotesi datate e irrealistiche.
Intanto, i risparmiatori continuano a guardare nello specchietto retrovisore. Se chiediamo ai clienti quanto si aspettano di guadagnare dai loro portafogli d’investimento, rispondono tuttora il 5-8%. Ma sono rendimenti del tutto incompatibili con le valutazioni attuali. In passato, l’idea di cominciare a risparmiare a 40 anni e mettere via il 10% dello stipendio fino alla pensione poteva anche essere concepibile.
Nell’odierno contesto di tassi d’interesse bassi, è altamente improbabile che lo stesso capitale di un risparmiatore mostri la crescita composita necessaria per assicurare una pensione di tutto rispetto. Questo dilemma è destinato a mettere in discussione e, in ultima analisi probabilmente a rivoluzionare, il settore dei risparmi. Di fronte a un ostacolo così imponente, come farà la gente a risparmiare a sufficienza e cosa possono fare i fondi pensione e il settore degli investimenti per affrontare la questione?
È di importanza vitale portare alla luce questo cambiamento di fondo. Una volta presa coscienza del problema, gli investitori saranno in grado di rivedere i loro presupposti. In un mondo ideale, i risparmiatori aumenterebbero la percentuale del reddito accantonato per compensare la differenza. Ma con i salari reali stagnanti, per molti sarà difficile mettere da parte di più. In Giappone, a causa del lungo periodo di stagnazione economica, i risparmiatori si sono resi conto di ciò e hanno cominciato a versare importi maggiori nei fondi pensione.
Ma neanche questa soluzione è una panacea: se i consumatori sacrificano le somme destinate alla spesa oggi per risparmiare di più, le aziende faticano a crescere. Questo crea un ciclo economico debole che si autoalimenta in cui i rendimenti restano scarsi e i risparmi eccessivamente elevati. Ma allora, qual è la risposta? Probabilmente tutti guarderanno alle strategie d’investimento come a una strada percorribile per rimediare alla carenza. La ricerca di rendimento diventerà più importante che mai.
È probabile che i gestori degli investimenti debbano scandagliare il mondo intero per trovare i migliori rendimenti corretti per il rischio. Abbiamo già assistito a questa tendenza in Giappone, dove gli investitori sono prontamente andati all’estero per inseguire le remunerazioni. I gestori agili, capaci di spostarsi fra liquidità, obbligazioni e azioni in risposta ai cambiamenti del contesto economico, dovrebbero riscontrare una domanda elevata. Stiamo già osservando questa tendenza con la crescente popolarità delle strategie intelligenti e flessibili di tipo multi-asset.
Tra i beneficiari ci saranno anche le soluzioni sofisticate che gestiscono la volatilità. Non sorprende la diffusione sempre più marcata dei prodotti di questo tipo, che risolvono agli investitori il problema dell’allocazione del patrimonio. A prescindere dalla strategia d’investimento, ci sarà da lavorare molto di più. Probabilmente si intensificherà anche il monitoraggio delle performance dei gestori, con quelli attivi chiamati a soddisfare le esigenze di rendimento dei clienti. Il lavoro aumenterà anche per i risparmiatori, costretti a mettere da parte di più per compensare i rendimenti potenziali tendenzialmente inferiori a quelli a cui erano abituati.