Nella fase attuale, sul mercato ci sono moltissimi e variegati driver che stanno portando ad un’accelerazione delle aspettative di reflazione con un possibile aumento dei tassi.
Allo stesso tempo, però, persiste la volontà di rispettare il vecchio adagio di “non combattere le Banche Centrali” che stanno mantenendo i tassi bassi. Ora siamo arrivati all’inflation point, cioè al punto in cui non bisogna combattere le Banche Centrali nel loro obiettivo finale, la creazione di inflazione. È vero che siamo reduci da un mercato obbligazionario super rialzista: ora la situazione è drammatica dati i trilioni di bond a tasso negativo. Tuttavia, ora vediamo molti fattori che potrebbero innescare un ribilanciamento dei mercati obbligazionari con una salita tassi di interesse.
Anzitutto, il riequilibrio nel mondo delle commodity, soprattutto se si guarda il settore dell’energia. Ora il prezzo del petrolio è intorno ai 50 dollari al barile. Abbiamo assistito di recente ai tentativi dell’Opec di ristabilire un coordinamento: l’Arabia Saudita potrebbe ridurre la produzione, il che porterebbe le quotazioni dell’oro nero verso i 60 dollari al barile, con un impatto sull’inflazione.
Secondo, la politica fiscale in Europa e in USA si sta muovendo da una forma di austerità a un approccio molto più flessibile. Una forte spinta potrebbe arrivare dalle presidenziali statunitensi, dato che entrambi i candidati si sono detti favorevoli a un’accelerazione della spinta fiscale.
Terzo, la politica monetaria, potrebbe cambiare. Nel corso degli ultimi anni, tra le Banche Centrali si è diffusa la tendenza a spostare il baricentro verso un mix di politiche diverse: la BCE, ad esempio, ha lanciato il QE nel 2015 e ha introdotto l’acquisto di bond corporate dopo pochi mesi. Questa tendenza è importante perché, in questa fase, le Banche Centrali sono frustrate e pronte a sperimentare e cercare nuove soluzioni di politica monetaria per far ripartire il rally dell’inflazione. I vecchi programmi hanno provocato scompensi molto costosi. Le Banche Centrali sono ora pronte a considerare altre opzioni, come l’acquisto di NPL. Una mossa di questo tipo avrebbe maggiori probabilità di provocare un impatto positivo sull’economia, ma farebbe venire meno il bisogno di comprare Titoli di Stato.
I potenziali rischi
Al momento, la vera paura sui mercati obbligazionari è data dall’illiquidità, che è andata crescendo, mentre cala il capitale disponibile per operazioni di mercato. Per questo motivo, evitiamo bond troppo illiquidi. Una seconda preoccupazione è l’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, che rappresenta un’incognita molto forte a livello di market price. Clinton è molto più prevedibile di Trump, soprattutto per ciò che potrebbe succedere nel periodo che intercorre tra le elezioni e l’inizio dell’operatività vera e propria della nuova Presidenza. Altra fonte di preoccupazione è capire come verrà gestita la Brexit, che potrebbe essere una grossissima distrazione per gli investitori professionali, se diventasse disordinata. E’ più facile un’hard Brexit di una soft Brexit.
Il quarto timore è dato dalle elezioni francesi e tedesche. Per quanto riguarda l’Italia, il referendum costituzionale è forse stato un po’ esagerato in termini di impatti sui mercati, così come avvenuto per la Brexit. Non crediamo che farà la differenza, anche nello scenario apocalittico di arrivo di un governo tecnico. Tante cose buone sono state fatte con governi tecnici. Siamo più preoccupati per l’eventuale tapering della BCE, che sarà inevitabile quando ci sarà l’accordo dell’Opec.
In questo contesto, uno dei Paesi più esposti è la Gran Bretagna. Il fatto che, per pressioni politiche interne, il primo ministro May abbia annunciato di voler attivare l’art.50 entro il primo trimestre del 2017 è fonte di fiducia. Nell’accordo di uscita dall’UE verranno riformulate tutte le leggi europee, che dovranno poi rientrare nella sfera legislativa UK e che per questo motivo potranno essere cambiate. A breve, verrà annunciato il primo budget di Hammond, atteso come molto espansivo.
La Bank of England sarà la più esposta a livello di concentrazione del proprio bilancio sui titoli governativi, con quasi 700 miliardi di dollari in pancia. Inoltre, l’Istituto non ha quasi posizioni in oro. La qualità del bilancio è molto molto bassa. Da qui a marzo 2017 ci aspettiamo un’ondata di vendite sui titoli di Stato UK.