Non molto tempo fa, i tassi d’interesse negativi erano una novità. L’idea che un investitore potesse pagare qualcuno per dargli in prestito i suoi soldi era ritenuta al tempo stesso radicale e insensata. Oggi, i tassi d’interesse rasoterra o negativi sono diventati la norma in molti mercati sviluppati. All’inizio di settembre, più di USD 12.000 miliardi di obbligazioni rendevano meno di zero. Il viaggio per arrivare fin qui ha generato rendimenti record, in quanto i tassi più contenuti hanno spinto al rialzo i prezzi delle obbligazioni.
Ma, come molti viaggi che si rispettino, la meta – un luogo in cui regnano tassi bassi, crescita lenta e rendimenti potenziali anemici – è molto meno invitante. Il modello storico di riferimento degli operatori di mercato è stato completamente rovesciato, e i perdenti supereranno abbondantemente i vincitori man mano che gli effetti positivi dei tassi bassi svaniranno.
I rendimenti dei titoli di Stato, sia in termini nominali che reali, saranno inferiori. Di fatto, a chi investe in obbligazioni con rendimenti negativi viene praticamente garantito un rendimento nominale col segno meno sui titoli detenuti sino alla scadenza. Non meno preoccupanti per gli investitori sono i motivi per cui oggi i rendimenti sono tanto contenuti. I mercati si sono sostanzialmente rassegnati all’idea che non ci sarà nessuna rimonta della crescita, inglobando piuttosto nei prezzi un periodo protratto di bassa produttività e prospettive poco entusiasmanti.
E benché riteniamo sopravvalutate le obbligazioni, la tesi del “più bassi più a lungo” rimane profondamente radicata e potrebbe volerci del tempo perché venga superata. Se i tassi bassi sono un fenomeno persistente, allora chi sono i principali perdenti? A fare le spese delle attuali politiche straordinarie sono soprattutto le seguenti categorie:
- Risparmiatori, dato che l’effetto combinato dei minori rendimenti reddituali e del rallentamento della capitalizzazione ridurrà fortemente i rendimenti futuri.
- Assicuratori del ramo vita, molti dei quali hanno promesso rendimenti superiori ai tassi di mercato.
- Schemi pensionistici, in quanto i tassi di sconto più bassi stanno facendo crescere in maniera esponenziale i deficit di finanziamento.
- Investitori in cerca di diversificazione, dal momento che la capacità delle obbligazioni di fornire una diversificazione efficace diminuisce man mano che i rendimenti si avvicinano al limite inferiore dello zero.
- Autorità, dato che i tassi hanno raggiunto livelli tali da ridurre l’efficacia dei tradizionali strumenti di politica monetaria.
RISPARMIATORI DEVONO FARE I CONTI CON UNA NUOVA REALTÀ
Se è vero che i rendimenti in discesa possono produrre performance obbligazionarie elevate, lo stesso non si può dire se tale flessione è permanente. Troppo spesso, si tende a inquadrare il fenomeno solo in un contesto di breve termine. Un corollario importante dei rendimenti rasoterra, di contro, è che la magia della capitalizzazione scompare. I risparmiatori stanno sottovalutando l’impatto che avrà il passaggio in corso dal “miracolo della capitalizzazione” alla “maledizione della capitalizzazione”. Essi suppongono erroneamente che i rendimenti si normalizzeranno, rendendo possibile un altro anno di rendimenti sul 6-8%.
Inoltre, non riconoscono il fatto che un contesto di rendimenti ostinatamente bassi non solo compromette i risultati annuali, ma distrugge anche l’effetto cumulativo dei risparmi. Per chi mettesse da parte USD 25.000 guadagnando un rendimento dell’8% annuo, il valore di tali risparmi aumenterebbe fino a USD 79.300 in 15 anni, ipotizzando il reinvestimento dei rendimenti. Tuttavia, a un tasso di rendimento annuo di appena il 3,5%, gli stessi USD 25.000 arriverebbero ad appena USD 41.800 nello stesso arco di tempo. E per quegli investitori che continuano a optare per la sicurezza delle obbligazioni a breve termine, i rendimenti saranno inferiori all’1,0% in quasi tutti i settori. Tra 15 anni, il gruzzolo non avrà superato la cifra di USD 28.000, e ci vorrebbe più di un secolo per vederlo raddoppiare!
Le aspettative di rendimento non hanno fatto i conti con questa nuova realtà. I modelli di investimento continuano a riflettere la convinzione che i rendimenti si riporteranno sulle medie di lungo termine. Ciò è incompatibile con le valutazioni di partenza, con il livello della crescita potenziale del PIL e della produttività e con la quota già esorbitante degli utili sul PIL. Nei prossimi due decenni, è probabile che i rendimenti degli investimenti saranno significativamente più bassi.
COSA SIGNIFICA TUTTO CIÒ?
I risparmiatori dovranno risparmiare di più e lavorare più a lungo. Ipotizzando un profilo di rendimento azionario più in linea con una crescita globale nominale del 4-6%, il lavoratore medio dovrà lavorare dieci anni in più per accumulare lo stesso gruzzolo di prima. A cambiare sarà anche la composizione dei portafogli di investimento. La richiesta di maggiore flessibilità e l’enfasi sul contenimento delle perdite saranno presenti in tutti i piani di investimento, consentendo l’introduzione di nuove gamme di prodotti.
COMPAGNIE ASSICURATIVE: UNA RICETTA PER IL DISASTRO
Quello che segue è un esempio di modello operativo sbagliato:
- offrire ai risparmiatori un rendimento reddituale garantito;
- prevedere un limitato margine di manovra per esimersi da o modificare i termini di tali promesse;
- mantenere un vasto disallineamento delle scadenze nel quale la durata delle garanzie supera la durata media delle attività;
- infine, guardare i tassi d’interesse precipitare ai minimi storici.
Sfortunatamente, è esattamente quello che molti assicuratori del ramo vita e rendite hanno fatto, risultando pesantemente svantaggiati nell’attuale contesto dei tassi. Le compagnie di assicurazione sulla vita in Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Taiwan si trovano in una situazione particolarmente difficile.
Gli assicuratori del ramo vita vanno incontro a ostacoli notevoli, come si vede bene nel grafico sopra riportato.
COSA SIGNIFICA TUTTO CIÒ?
Nello scenario migliore, gli assicuratori dei rami vita e rendite subiranno una contrazione della redditività e dei ROE. Più probabilmente, cominceremo a osservare un aumento delle insolvenze tra gli operatori più deboli e di minori dimensioni. Secondo le nostre stime, nei prossimi due anni avremo dai 10 ai 20 fallimenti annui. Non abbastanza per scatenare una crisi, ma di sicuro ciò porterà a rendimenti inferiori e a occasionali tensioni in un settore di rilevanza sistemica.
PIANI PENSIONISTICI SI LECCANO LE FERITE
Il tracollo dei tassi ha messo a nudo il deficit di copertura dei piani pensionistici a prestazioni definite. Gli schemi pensionistici sono concepiti per coprire un flusso di passività nel quale vengono pagati importi fissi ai pensionati, spesso per periodi di tempo lunghi. Passività facili da compensare acquistando attività a lunga scadenza che generano flussi reddituali simili o superiori. Tuttavia, questo modello si rompe se i piani pensionistici detengono un livello di rischio obbligazionario troppo esiguo e i tassi scendono – esattamente quello che è successo.
I tassi più bassi hanno gonfiato il valore attuale delle passività in misura superiore all’aumento di valore delle attività, lasciando i fondi pensione in una situazione di insufficienza di coperture. In tutti i mercati, USA e Regno Unito compresi, più del 75% dei piani pensionistici si ritrova con passività che superano le attività. Tale divario ha raggiunto livelli record alla fine del terzo trimestre.
Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Molti piani non aziendali versano in condizioni finanche peggiori, e imperversa l’uso di previsioni di rendimento irrealistiche e di tassi di sconto sopravvalutati. Adottando ipotesi realistiche, si ottiene un quadro in cui i piani pensionistici aziendali negli USA presentano ammanchi nell’ordine di USD 600 miliardi. Dopo il tracollo dei tassi verificatosi all’indomani della Brexit, lo scoperto delle società britanniche è arrivato a GBP 960 miliardi, applicando integralmente il metodo buy-out. Sulla base di calcoli plausibili, i piani pensionistici pubblici statunitensi vanno probabilmente incontro a un deficit stellare pari a USD 3.300 miliardi.
COSA SIGNIFICA TUTTO CIÒ?
È in agguato una crisi pensionistica, ma i rischi di breve termine appaiono gestibili. Gli obblighi pensionistici privi di copertura somigliano ad altre tipologie di passività come i debiti, e le società stanno di fatto diventando più indebitate per effetto del deterioramento dell’indice di copertura. La brutta notizia è che questo problema è ora sufficientemente esteso da rimanere un fattore determinante nel guidare le valutazioni azionarie e obbligazionarie. Esso lascia inoltre presagire qualche fallimento occasionale anche tra le aziende in difficoltà ma prive di ammanchi pensionistici spropositati. La buona notizia è che gran parte di tali passività giungerà a scadenza solo tra qualche anno, allentando le pressioni nell’immediato.
Questa crisi, come molte crisi debitorie, esploderà verosimilmente durante la prossima recessione. L’abbassamento degli utili indebolirà ulteriormente gli indici di indebitamento corretti per gli obblighi pensionistici, e molto probabilmente le esposizioni azionarie dei fondi pensione diminuiranno, esacerbando il problema. Sul versante pubblico, la bancarotta potrebbe diventare un’opzione più allettante, dunque nei prossimi anni ci sarà bisogno di maggiore cautela nel selezionare le emissioni municipali.
SIETE ALLA RICERCA DI UNA DIVERSIFICAZIONE DI PORTAFOGLIO TRADIZIONALE? AVETE PERSO
Gli investitori alla ricerca di un portafoglio diversificato con gestione del rischio si avvalgono generalmente del reddito fisso per fornire diversificazione e bilanciare le posizioni in azioni e altri asset rischiosi. Il valore delle obbligazioni tendeva in effetti ad aumentare quando le attività di rischio si muovevano al ribasso. I tassi sono su livelli così bassi che le probabilità che scendano ulteriormente sono limitate. Ciò indebolisce la funzione di copertura delle obbligazioni. Il grafico che segue riporta i rendimenti totali stimati per i titoli di Stato del G4 in base a diversi scenari economici.
Con rendimenti nulli non è semplicemente possibile ottenere performance elevate. Se siete alla ricerca di rendimenti solidi da obbligazioni di alta qualità, dovete cercare altrove. Inoltre, se la componente azionaria del vostro portafoglio dovesse diminuire del 20%, il reddito fisso non potrà fare il grosso dello sforzo.
COSA SIGNIFICA TUTTO CIÒ?
Gli investitori si adopereranno per beneficiare al massimo delle loro obbligazioni. Ciò esige portafogli più rischiosi concepiti per generare un vero alfa. La “ricerca di rendimento” sembra quindi destinata a proseguire. L’enfasi sui prodotti flessibili e sulle soluzioni multi-asset che combinano i rischi in maniera più intelligente dovrebbe permanere. Infine, la fiducia generalizzata sul portafoglio bilanciato tradizionale potrebbe rivelarsi deludente. Un portafoglio costituito per il 60% da azioni e per il 40% da obbligazioni, ad esempio, potrebbe non offrire la diversificazione attesa in concomitanza di una grave correzione di mercato.
LE BANCHE CENTRALI NON CENTRANO IL LORO OBIETTIVO
Le banche centrali sono a corto di munizioni. Hanno tagliato i tassi d’interesse ma non sono riuscite a stimolare la crescita. Le opzioni degli istituti di emissione sono chiaramente limitate e anche quelle disponibili finiranno per rivelarsi estremamente imprevedibili. Le autorità monetarie hanno creato un contesto più rischioso e non sono riuscite a conseguire l’esito desiderato. Mentre procedono a tentoni nella ricerca di una soluzione, notiamo che anch’esse faticano a dare risposte. La loro credibilità sta venendo meno.
COSA SIGNIFICA TUTTO CIÒ?
Gli strumenti che consentono alle banche centrali di conseguire i propri obiettivi scarseggiano. Alcuni paesi, in particolare il Giappone, prenderanno in considerazione l’opzione rappresentata dalla monetizzazione del debito. In ultima analisi, potrebbe toccare alle politiche di bilancio l’onere di fare gran parte del lavoro. Questa soluzione richiederà tempo e potrebbe non rivelarsi una panacea per tutti i mali se sarà implementata in maniera inadeguata. Poiché i mercati cominciano a mettere in discussione l’efficacia delle politiche monetarie, c’è da aspettarsi una volatilità più marcata.
SFIDE ALL’ORIZZONTE
L’era dei “tassi più bassi più a lungo” ha un prezzo ed effetti collaterali. Le ripercussioni principali sono sempre state percepite come positive. Un contesto di tassi d’interesse bassi dovrebbe stimolare la creazione di credito. Dovrebbe indurre gli investitori a rinunciare ai risparmi e a consumare di più. La debolezza dei tassi avrebbe dovuto aumentare l’attrattiva dei rendimenti degli investimenti rispetto al costo del capitale e imprimere slancio alla spesa in conto capitale.
Inoltre, tassi bassi e QE dovrebbero favorire il ribilanciamento dei portafogli, consentendo agli investitori di vendere beni rifugio e reinvestire i relativi proventi in asset rischiosi, alimentando la dinamica di auto rafforzamento. Alcuni degli effetti secondari attesi non si sono mai pienamente manifestati, mentre altri si sono semplicemente esauriti. Sono necessari nuovi strumenti. Frattanto, ci troviamo in un contesto di tassi storicamente bassi. Più a lungo tale scenario si protrarrà, più deleteri saranno i suoi effetti su molti operatori di mercato.