NEW YORK (WSI) – Durante la campagna elettorale più aggressiva e ricca di colpi di scena della storia degli Stati Uniti, il presidente eletto Donald Trump aveva fatto intendere che gli americani favorevoli all’uso delle armi avrebbero potuto usarle per fermare Hillary Clinton.
Ora è una giornalista inglese, del Guardian, a suggerire – e nemmeno tanto tra le righe – di uccidere il leader Repubblicano. Un messaggio a dir poco controverso è stato mandato ieri dall’account Twitter della scrittrice free lance Monisha Rajesh: si diceva che “è giunto il momento di assassinare il presidente”.
Il suo tweet ha scatenato una serie di polemiche e risposte infuriate su Twitter, tanto da costringere la giornalista indipendente, che ha pubblicato articoli anche per il Daily Mirror e il Daily Telegraph in carriera, a chiudere il suo profilo sulla piattaforma di micro blogging. È l’esempio di quanto sia divisivo (e potente) Trump.
Trump ha vinto di un soffio: mezza America non ci sta
Intanto nelle strade di alcune delle principali città americane, come New York, Los Angeles, San Francisco e Portland, decine di migliaia di statunitensi stanno esprimendo il loro malcontento contro il loro nuovo presidente. È il quinto giorno consecutivo di proteste, anche violente, contro l’elezione del magnate dell’immobiliare, un grande comunicatore carismatico, ma anche un imprenditore di dubbio successo che non ha alle spalle alcuna esperienza politica o militare.
Le tensioni razziali sono ritornate con prepotenza in superficie dopo l’elezione di Trump, un candidato che si è lasciato andare a dichiarazioni xenofobe e misogine e che da presidente eletto ha già annunciato di voler deportare 3 milioni di clandestini.
A giudicare da slogan, cartelli e testimonianze rilasciate ai media, i manifestanti sono contrari alle politiche di Trump in materia di immigrazione, sanità, ambiente, diritti civili e altre questioni rilevanti di politica esterna e interna. Alcuni addirittura mettono in dubbio la legittimità della vittoria di Trump, facendo presente che se Trump ha conquistato il Collegio Elettorale, Clinton ha vinto il voto popolare.
Non è la prima volta che un candidato perdente ottiene il maggior numero di voti assoluti su base nazionale, anzi è la quarta con il più recente episodio verificatosi nel 2000 quando Al Gore ha perso da George W. Bush. Tra i presidenti mancati, quelli arrivati secondi nonostante la vittoria nel voto popolare, si possono citare anche Richard Nixon nel 1968 e John Fitzgerald Kennedy nel 1960. Clinton rimane la più “sfortunata” essendo la candidata ad aver vinto con il margine più ampio in termini di voti assoluti.
Anche per questo motivo sta aumentando il numero di commentatori ed esponenti politici che chiedono che venga modificata al più presto una legge elettorale antiquata, che si basa su un sistema maggioritario stato per stato. Lo stesso Trump qualche anno fa aveva denunciato una normativa inadeguata. La vittoria di Trump è legittima, ma la beffa per come è stata ottenuta ha fatto venire ancora più rabbia a chi non riesce ad accettare l’esito del voto.
Trump rischia di essere estremamente polarizzante come commander in chief. A giudicare dalle reazioni di protesta e rabbia sulle strade e sui social media, si può affermare che gli Stati Uniti non erano così socialmente divisi dai tempi della Guerra in Vietnam. La speranza di chi non ha votato per il tycoon newyorchese è che il presidente Trump sia più conciliante, ragionevole e flessibile del candidato visto in campagna elettorale.