Dopo quanto successo con la Brexit e con l’elezione di Donald Trump tutto è possibile in politica e l’ondata dei nuovi populismi potrebbe portare a un cambiamento radicale anche nell’Italia post referendum costituzionale e nella Francia, che è chiamata all’appuntamento cruciale delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo.
Se al referendum del 4 dicembre il governo dovesse uscire sconfitto, l’intera Eurozona potrebbe pagarne le conseguenze e la moneta unica diventare un lontano ricordo. È il parere di Wolfgang Munchau, editorialista del Financial Times, secondo il quale dovremo rassegnarci a un “ritorno di una crisi dell’Eurozona“. Se il fronte dei No dovesse spuntarla tra due domeniche, l’illustre commentatore prevede una “sequenza di eventi che metterebbe in dubbio la partecipazione dell’Italia all’Eurozona”.
Il direttore associato del quotidiano finanziario della City scrive che le vere cause di questa possibilità non sono legate al referendum in quanto tale. Le tensioni sui mercati sono palpabili, con le banche prese d’assalto dai ribassisti alla fine della settimana scorsa e lo Spread tra Btp e Bund che si avvicina alla soglia di pericolo dei 200 punti base (attualmente si aggira sui 185 punti base). Il termometro del rischio italiano, così come viene percepito dai mercati, viene anche dato dal differenziale dei titoli di Stato italiani con i Bonos spagnoli, i cui livelli sono ormai sulla stessa rotta di quanto visto nel 2011.
Munchau è convinto che il vero problema non sia tanto di natura politica, quanto piuttosto economica. La performance dell’Italia da questo punto di vista è a dir poco deludente: a partire dal 1999, anno di entrata in vigore dell’euro, la produttività complessiva è scesa del 5% mentre in Francia e Germania è aumentata del 10%. Secondo i promotori della moneta unica non è colpa dell’euro se alcuni paesi sono rimasti indietro, ma di fattori esterni come la crisi finanziaria americana e la crisi del debito sovrano e della lentezza nel riformare l’unione monetaria e rafforzarla trasformandola in un’unione economica e politica piena.
Oppure al contrario c’è chi sostiene, soprattutto a sinistra, che una maggiore autonomia dei singoli stati membri in materia fiscale e di bilancio potrebbe scongiurare nuovi pericoli. Ma come ha anche fatto sapere in più occasioni il governo Merkel e il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, la condivisione dei rischi non è una strada percorribile.
Insomma non c’è una linea politica comune su come va risanata l’area euro. Un’eventuale sconfitta al referendum costituzionale del premier Matteo Renzi – un leader pro euro ma anche con posizioni per lo meno di facciata critiche nei confronti dei falchi dell’Eurozona – potrebbe avere conseguenze distruttive sulla moneta unica.
“Se Renzi dovesse perdere ha detto che si dimetterà, portando al caos politico. Gli investitori potrebbero concludere che il gioco è finito. E il 5 dicembre l’Europa potrebbe svegliarsi con un’immediata minaccia di disintegrazione“.
Dopo Brexit e Trump tutto è possibile
La sconfitta del governo è altamente possibile, visti i sondaggi che danno i No in vantaggio del 5-7%. Così come lo scenario di Italexit non è da escludere, egualmente non lo è quello di una Francia fuori dall’euro (Frexit). Alle elezioni presidenziali francesi di aprile non è da escludere categoricamente – come hanno fatto troppo frettolosamente alcuni sondaggisti – una vittoria di Marine Le Pen, candidata anti europeista e anti euro.
Le Pen e il Front National al governo “non sono più un rischio remoto… Se Le Pen dovesse diventare presidente ha già detto che terrà un referendum sul futuro della Francia nella Ue. E se tale referendum portasse alla ‘Frexit’, la Ue sarebbe finita il mattino successivo e così l’euro”.
Le conseguenze di un’uscita dell’Italia o della Francia dall’euro sarebbero disastrose e “porterebbero alla maggiore insolvenza della storia. I detentori stranieri di titoli italiani o francesi denominati in euro – spiega il direttore associato del Financial Times – sarebbero pagati nell’equivalente di lire o franchi francesi. Entrambi i Paesi svaluterebbero. E dal momento che le banche non devono detenere capitale a fronte delle loro posizioni in titoli di stato, le perdite porterebbero molte banche continentali all’immediato fallimento, La Germania allora comprenderebbe che un massiccio surplus delle partite correnti ha anche i suoi svantaggi. E che c’è molta ricchezza tedesca in attesa del default“.
Lo scenario potrebbe essere scongiurato, secondo Munchau, “ma ci vorrebbero una serie di decisioni prese in tempo e nel giusto ordine. A partire dal fatto che la signora Merkel dovrebbe accettare ciò che rifiutò nel 2012 – un percorso verso un’unione fiscale e politica piena. La Ue inoltre dovrebbe anche rafforzare lo European Stability Mechanism (Esm), l’ombrello di soccorso, che non è stato studiato per salvare Paesi della taglia dell’Italia o della Francia”.
“Mettiamola in questo modo : se dovessimo chiedere alla Cancelliera tedesca se lei vuole titoli dell’Eurozona garantiti in modo comune, direbbe di no. Ma se dovesse scegliere tra gli eurobond e un’uscita italiana dall’euro la sua risposta potrebbe essere diversa. E la risposta dipenderà anche da se la domanda viene posta prima o dopo le elezioni tedesche nel prossimo autunno”.
La mia previsione di Munchau non è per un crollo dell’Unione Europea o dell’euro ma “l’uscita di uno o più paesi, possibilmente l’Italia ma non la Francia. Alla luce degli eventi recenti il mio scenario di base è ora solidamente sulla scala ottimistica delle aspettative ragionevoli”. In confronto all’elezione di Trump, un candidato senza alcuna esperienza politica, alla prima potenza mondiale, l’Italia che abbandona un progetto che finora economicamente non le è convenuto sembra un’ipotesi più realistica.