Sul valutario il dollaro non attraversa un buon momento. Il tutto mentre sulle Borse il rally spinto dalle previsioni di inflazione post elezione di Trump sembra essersi spento. Ieri sera il Wall Street Journal ha pubblicato l’ultimo estratto dell’intervista concessa da Donald Trump, nella quale il presidente eletto dice che “il dollaro è troppo forte” e che questo è dovuto in gran parte alla Cina che svaluta la sua valuta.
“Le nostre società non possono concorrere con loro ora perché la nostra divisa è troppo forte. E questo ci sta uccidendo“, ha dichiarato Trump. Il dollaro perde lo 0,6% nei confronti dello yuan a 6,8592 e i mercati azionari principali in Europa e Asia perdono quota (segui live blog di mercato). Il biglietto verde si indebolisce anche nei confronti di sterlina ed euro.
Come sottolinea anche il quotidiano finanziario americano, è raro che un presidente si lasci andare a commenti sul valore del dollaro. Trump ha rotto questa tradizione, sorprendendo i mercati finanziari. Da quando il candidato Repubblicano è stato eletto il dollaro è in rialzo del 4% contro il paniere delle principali valute rivali (Dollar Index) e da metà 2014 si è rafforzato di circa il 25%.
A Davos le parole del consulente dell’amministrazione Trump Anthony Scaramucci, l’unico presente al World Economic Forum del nuovo team di Washington, hanno fatto eco alle preoccupazioni espresse dal presidente eletto. Scaramucci ha detto ai presenti che “dobbiamo essere molto attenti a un dollaro in rafforzamento”.
Alla luce delle ultime dichiarazioni del nuovo capo di governo Usa, la corsa del dollaro e probabilmente delle Borse – due fenomeni che hanno iniziato a manifestarsi con una certa intensità da quando a novembre è stato eletto Trump – sembra destinata ad aver raggiunto il capolinea.
Trump e Fed in rotta di collisione
Con il suo programma fiscale ed economico che commentatori e mercati prevedano scaturisca una fase di reflazione, Trump ha dato carburante a titoli azionari, in gran rialzo fino a metà dicembre, e dollaro. Ma ora la musica sui mercati sembra cambiata.
Donald Trump e la Federal Reserve sono in rotta di collisione e il risultato certo è un rafforzamento del dollaro. Lo sostengono due economisti di alto profilo, secondo cui l’anno prossimo o tra un anno e mezzo il desiderio dell’amministrazione Trump di raggiungere una crescita del Pil del 3-4% cozzerà con l’impegno della Fed a rispettare il loro mandato per un’inflazione del 2% e non superiore. Lo ha detto il professore della Northwestern University Robert J. Gordon.
Sempre durante la stessa conferenza a Parigi sulla stagnazione secolare, Barry Eichengreen della Berkeley University in California, ha detto di vedere un rafforzamento a due cifre del dollaro come possibile conseguenza dell’agenda protezionista e del maxi piano di stimolo fiscale e di tagli delle tasse di Trump. L’obiettivo del presidente eletto è quello di dare un’accelerazione alla crescita economia attraverso un alleggerimento del carico fiscale, la creazione di posti di lavoro in Usa e un incremento delle spese pubbliche nelle infrastrutture.
Secondo Gordon questo porterà a un’inflazione in un’economia che sta già facendo i conti con pressioni sul fronte dei salari. Ciò spingerà la Federal Reserve a imporre un numero elevato di rialzi dei tassi di interesse. Non va dimenticato, inoltre, che durante la sua campagna presidenziale Trump non ha speso parole concilianti con Janet Yellen. È quasi da dare per scontato che Trump non confermerà la presidente della Federal Reserve.