Arrivato in Germania per incontrare la Cancelliera Angela Merkel, il premier Paolo Gentiloni ha garantito che il tempo dell’austerità è finito e che i falchi europei del rigore dovrebbero smetterla di accanirsi solo con l’Italia a cui hanno chiesto una manovra di bilancio correttiva da almeno 3,4 miliardi (0,2% del Pil), pena l’avvio di una procedura di deficit eccessivo.
Su quello la Commissione Ue non è disposta a negoziare e fare concessioni, mentre l’organo esecutivo europeo potrebbe alla fine concedere un 0,3% addizionale per la gestione della crisi dei migranti e dei disastri naturali e un altro 0,5% di margine di tolleranza arbitrario. Si prospetta un anno di austerity per l’Italia, proprio quello che Gentiloni vorrebbe evitare.
Subito dopo il complesso piano di salvataggio di Mps e altre banche, il governo Gentiloni si trova suo malgrado a dover affrontare come prima questione impellente, oltre alla delicata revisione della legge elettorale, la necessità di colmare il gap di bilancio. Palazzo Chigi ha tempo fino al mese prossimo.
Ue preferisce tagli alla spesa e patrimoniali
Le ultime indiscrezioni stampa dicono che le trattative con l’Ue sulle nuove possibili misure di bilancio sono già avviate. La Commissione ha anche elencato le sue preferenze su come dovrebbe avvenire la manovra correttiva per ottenere entrate extra: ad esempio con tagli straordinari alla spesa pubblica e misure una tantum che hanno il sapore di patrimoniali sui beni immobiliari o finanziari.
È un déjà-vu di quanto successo a fine 2014. Allora però un Pil più forte delle attese ha messo il governo Renzi al sicuro e l’Italia monetaneamente fuori pericolo. Stavolta potrebbe essere diverso. Non è realistico, però, che un governo ad interim come quello di Gentiloni, che se va bene durerà fino alla fine della legislatura nel 2018 ma difficilmente supererà il 2017 dal momento che l’ex premier e leader del PD Matteo Renzi spinge per le elezioni anticipate questa primavera, abbia la forza politica per imporre misure impopolari come una patrimoniale.
Allo stesso tempo non è complicato riattivare alcune delle clausole di salvaguardia neutralizzate dalla legge di bilancio del 2017. Si tratta di clausole introdotte dal governo Renzi in maniera graduale e che prevedono un incremento automatico dell’Iva nel caso in cui non si riescano a rispettare gli obiettivi di deficit.
Secondo i calcoli di Social Europe un aumento dell’Iva dal 10% al 13% potrebbe “liberare” ben 6,5 miliardi di euro, una somma che accontenterebbe la Commissione. La decisione avrebbe un costo politico più che economico. I costi in termini di consumi del settore privato e crescita del Pil ci sarebbero, ma l’impatto si farebbe sentire più avanti.
Dal 2018 nuove tasse per 23 miliardi di euro
Gli ultimi dati su Pil (+0,3% nel terzo trimestre) e produzione industriale (+0,7% a novembre) non sono entusiasmanti ma un aumento contenuto dell’Iva non dovrebbe deragliare la timida ripresa economica nella terza potenza dell’area euro. Nel passato le conseguenze si sono avute 7-8 mesi dopo l’introduzione del rialzo dell’Iva.
Tra 7 o 8 mesi il governo Gentiloni non sarà probabilmente più in carica e nemmeno il Parlamento attuale (se si andrà al voto anticipato come sembra). Questo rende la misura più attraente dal punto di vista politico, ma non se si considera che l’Iva è già prevista salire al 27% nel 2018-2019 dal 22% attuale: si tratta della percentuale più alta di tutta l’Unione Europea (a pari merito con l’Ungheria).
Sarebbe una misura fiscale restrittiva che rischia – quella sì – di mettere a repentaglio la crescita economica dell’Italia. Come spesso accade, la maggior parte degli aggiustamenti fiscali sono stati riservati per l’ultimo periodo del quinquennio 2015-2019. L’avanzo primario italiano dovrebbe crescere dall’1,5% del 2016 al 3,2% del 2019 e dovrebbe stabilizzarsi su quei livelli nel futuro a medio termine, stando ai calcoli di Social Europe.
Ciò si tradurrebbe in nuove tasse per 23 miliardi di euro, 19 miliardi delle quali saranno reperite a partire dall’anno prossimo. Sarebbe assurdo illudersi che l’economia italiana non verrà impattata negativamente da una simile stretta fiscale. Senza contare che dall’anno prossimo l’Italia non potrà molto probabilmente più contare sul programma di aiuti monetari di Quantitative Easing della Bce.