Pochi giorni fa il cancelliere britannico Philip Hammond (equivalente del nostro ministro delle Finanze) ha lasciato intendere in un’intervista al quotidiano tedesco Welt am Sonntag che in caso di mancato accordo con l’Unione Europea in merito all’accesso nel Mercato unico, il Regno Unito potrebbe muovere la leva dell’imposta sui profitti delle società per attirare capitali nel Paese. A Brexit avvenuta, del resto, Londra avrebbe le mani libere per farlo senza nessun richiamo. Al cancelliere era stato evocato lo scenario di un Regno Unito dipinto come un “nuovo paradiso fiscale dell’Europa”; Hammond ha dunque replicato che il Paese potrebbe abbandonare il “modello di tassazione nello stile europeo e diventare qualcosa di differente”.
Attualmente ciascun Paese membro dell’Unione Europea è libero di decidere la propria aliquota da applicare sui profitti delle società (corporate income tax); il fatto è emerso con grande evidenza nel dibattito quando Paesi come Irlanda o Lussemburgo, nei quali la tassazione già risulta particolarmente conveniente, sono stati al centro di accordi fiscali speciali con diverse grosse società. In futuro, però, le cose potrebbero cambiare. Lo scorso ottobre, infatti, la Commissione europea ha annunciato il rilancio del progetto di una corporate tax unica a livello europeo (la Common consolidated corporate tax base, Ccctb). Armonizzare le regole sulla corporate tax, ovvero la nostra Ires, comporterebbe numerosi vantaggi nella lotta all’evasione fiscale, spiega la Commissione Ue, e sarebbe una base più equa sulla quale ogni Paese non sarebbe più nella condizione di mettere in saldo la propria imposizione fiscale per attirare e tassare i cospicui profitti di grosse società, in una corsa al ribasso che rende la competitività molto meno trasparente.
Ovviamente il Regno Unito, avendo votato per sottrarsi dall’Unione Europea, potrà mettersi nella condizione di non dover mai rispettare alcuna futura armonizzazione comunitaria dell’imposta sui redditi delle società. Quello che Hammond ha velatamente suggerito, in altre parole, è che una delle armi negoziali di Londra, quando si scenderà nei dettagli delle eventuali modalità di accesso al Mercato unico, potrà essere quella di minacciare una via d’uscita conveniente per i profitti delle società che potrebbe sottrarre importanti entrate fiscali ai Paesi europei. “Potremmo essere forzati a cambiare il nostro modello economico, e dovremo farlo per recuperare competitività”, aveva detto il cancelliere, che poi ha promesso: “torneremo, e lo saremo in modo competitivo”.