Il Presidente della BCE Mario Draghi quantifica in 358 miliardi di euro il costo che l’Italia dovrebbe sostenere a seguito della autonoma decisione di abbandonare l’Euro-sistema, cioè il gruppo di 19 Paesi europei che a suo tempo hanno adottato l’Euro come moneta unica condivisa.
In tal caso – sottolinea Draghi – la Banca d’Italia dovrebbe regolare integralmente, ed in euro, crediti e passività in essere nei confronti della stessa Banca Centrale Europea ( BCE).
Draghi sostiene ancora:
“L’Europa è l’unico modo per risolvere i problemi che gli Stati nazionali (europei) non riescono ormai da molto tempo a risolvere da soli. Specialmente quando la situazione è di diffusa instabilità a livello nazionale e internazionale è necessaria una conduzione che mantenga saldamente il potere di iniziativa politica”.
Non discuto in questa sede il metodo utilizzato per il calcolo dei 358 miliardi di euro come sopra segnalato. In questo momento sarebbe un modo pretestuoso, poco utile e fuorviante per affrontare il problema enunciato.
Allo stesso tempo, però, non trovo appropriato aver tirato in ballo la figura di Cavour per giustificare l’utilità della costruzione comunitaria europea. Sbaglierò, ma non mi risulta che Camillo Benso, conte di Cavour, avesse una spiccata visione europeista, piuttosto appariva come persona pragmatica ed opportunista.
La rilettura della storia evidenzia che Camillo Benso avesse progettato la conquista con la forza del Regno delle due Sicilie avendo innanzitutto a mente i grossi debiti del Regno piemontese nei riguardi di finanziatori stranieri (quelli inglesi in particolare) e la necessità di reperire con urgenza le risorse finanziarie per onorarli. Le casse dei Borbone (leggi Banco di Napoli), guarda caso, erano piene zeppe di monete d’oro, liquidità utile alla bisogna piemontese.
Detto questo, Draghi ha ragione quando asserisce che, allo stato attuale, alcuni Paesi dell’Euro-sistema (Italia in primis) non riescono a risolvere da soli i loro problemi, quelli finanziari innanzitutto.
Il nostro Paese, in particolare, si è caricato negli ultimi vent’anni di un debito pubblico (debito sovrano) di dimensioni insopportabili, in percentuale crescente rispetto alla ricchezza nazionale prodotta ( PIL). Ad oggi, con un debito pubblico di 2.230 miliardi di euro, il predetto rapporto tra debito pubblico e PIL è pari al 134%; era pari al 100,16% nel 2003 ed al 102,30% nell’anno 2008.
Giusto per offrire un dato di riferimento significativo ed eloquente, evidenzio che gli Stati Uniti d’America del neo-Presidente Donald Trump, con il loro debito pubblico più grande al mondo (20.000 miliardi di dollari), registrano un rapporto debito/PIL pari al 108%.
L’eventuale abbandono dell’euro come moneta condivisa da parte dell’Italia e l’assunzione di una nuova moneta nazionale, tenuto conto delle sue precarie condizioni economiche e finanziarie e delle valutazioni internazionali in discesa ( rating a livello “B”) comporterebbe una iniziale, grossa svalutazione della moneta adottata ex novo ed un aggravio di costi per ripianare i debiti pregressi, contratti in euro e rapportati al valore dell’euro.
Questo è solo uno dei molteplici aspetti che reclamerebbero a livello nazionale scelte coraggiose e soluzioni innovative nel momento in cui si decidesse di tornare a camminare da soli, con le proprie istituzioni, la propria moneta e le diffuse inefficienze strutturali, economiche e finanziarie. Quanto innanzi, avendo in campo un personale politico a dir poco “scoordinato e disorientato”, con un sistema elettorale in perenne “ricerca d’autore”.
Per assurdo, un qualche vantaggio potrebbe derivare dall’abbandono simultaneo dell’ euro da parte di tutti gli attuali 19 Paesi che danno vita al meccanismo di moneta unica europea.
In tal caso la temporanea “confusione monetaria” a livello europeo attenuerebbe ed offuscherebbe, in parte, le “corpose magagne italiane”.
La vicenda riguardante l’ipotizzata fuoriuscita della Gran Bretagna dall’ Unione europea va seguita con attenzione per comprendere le conseguenze e le difficoltà connesse all’interruzione unilaterale dei rapporti comunitari.
Nel caso specifico le difficoltà sono indubbiamente minori, visto che la Gran Bretagna, pur essendo membro influente ed interessato del consesso comunitario, ha continuato ad utilizzare la sterlina quale moneta nazionale, con il suo cambio e le sue temporanee oscillazioni nei riguardi dell’euro e delle altre valute internazionali.