”L’americanizzazione della politica italiana” e’ il titolo di un interessante dibattito che si e’ tenuto qualche giorno fa alla Casa Italiana Zerilli-Marimo’ della New York University. Manhattan come territorio neutrale per parlare di temi scottanti in patria? Dipende. In realta’ l’incontro, moderato dalla giornalista della Rai Mariolina Sattanino, ha avuto momenti di seria ostilita’.
Due i punti dello scontro: 1) l’assimilazione di ”americanizzazione” a politica-spettacolo e a sondaggi tanto precisi quanto inutili. 2) la negazione dell’assunto secondo cui gli Stati Uniti sono la ”causa efficiente” dello stravolgimento propagandistico-politico italiano degli ultimi anni. Del secondo punto si è occupato bene Giovanni Sartori, politologo e articolista del Corriere della Sera. ”Non è corretto dire che l’Italia ha assorbito dall’America un nuovo modo di fare politica”, ha spiegato Sartori, ”piuttosto il rapporto tra la politica americana e quella italiana è tutto inscrivibile in una più ampia tecnologizzazione della comunicazione e – in particolare – della propaganda partitica”.
In parole piu’ semplici oggi i canali mediatici attraverso i quali un partito politico può – o è costretto – a rendere pubbliche le proprie posizioni, sono infinitamente maggiori e più potenti rispetto a pochi anni fa, sia negli Stati Uniti che in Italia. L’ impressione pero’ di un’ importazione da oltre Atlantico di questa nuova maniera di fare politica, secondo Sartori verrebbe dal fatto che gli USA hanno un sistema di mass media più potente, capillare e sofisticato di quello italiano, un sistema in continua evoluzione e quindi per noi irragiungibile.
Alcuni dei problemi riguardanti questa presunta italianizzazione di sistemi americani, sono stati toccati dagli altri due partecipanti all’incontro, il vice-segretario DS Folena, e il sociologo Renato Mannheimer. Folena ha sostenuto una tesi non nuova, e cioe’ che la ”americanizzazione” della politica in Italia in realta’ riguarda solo un fazione politica, Forza Italia, per via della concentrazione di potere informativo nelle mani dell’azienda-partito di Silvio Berlusconi. E per dimostrare che non tutti usano gli stessi sistemi ha descritto le altre possibilità di propaganda del centro-sinistra.
I DS insomma non vogliono rinunciare – proprio adesso alla vigilia delle elezioni regionali e a poco più di un anno delle prossime amministrative – alla diffusione delle proprie idee, ma distanziandosi dal berlusconismo. L’obbiettivo e’ una strategia non mediatica ma di vecchio stampo (quasi gramsciana), una politica di propaganda direttamente sul territorio, attraverso la fitta rete di iscritti (Folena ha parlato di 670.000) che costituirebbe ”l’unico modo per combattere il potere dei mass-media in possesso del Polo”.
Ecco, questo e’ il nocciolo dello scontro che si e’ consumato nel dibattito di New York. Ci si e’ chiesti anche se l’alternativa tra diversi mezzi di propaganda possa far capire se gli elettori italiani siano più suscettibili a una propaganda di tipo ”americano” o a una di tipo piu’ ”casalingo’. Ma come saperlo prima? Come prevenire che una campagna elettorale sia destinata magari al fallimento?
Seguendo le osservazioni di Renato Mannheimer, faremmo meglio ad aspettare indicazioni a spoglio delle schede avvenuto. Il sociologo infatti afferma che di sondaggi in Italia se ne fanno molti, fin troppi, ma che essi sono poco utilizzati dai partiti sia sul piano strategico che su quello tattico. Mannheimer ha spiegato questo atteggiamento delle forze politiche con una sorta di ”ingiustificata sicurezza”, retaggio di un ”oligopolio’ di partiti che una volta erano effettivamente di grande peso, proprio perché potevano contare su un ”nocciolo duro di elettorato” che prima continuava a identificarsi con loro indipendentemente dalle contingenze politiche.
Ormai non e’ piu’ cosi’. Dopo la caduta del muro di Berlino, dopo Tangentopoli, dopo la caduta dei vecchi simboli, lo scenario e’ completamente diverso. Inoltre, bisogna fare i conti col distacco della gente dalla politica, soprattutto nelle fasce giovanili. La politica – conclude Mannheimer – ”difficilmente e’ comprensibile, e certo non e’ piu’ eleggibile a rappresentare un’idea”.