Le elezioni di aprile e maggio porteranno alla nomina di un nuovo Presidente francese. I recenti sondaggi suggeriscono che Marine Le Pen, leader del Front National, sia una candidata temibile. L’ondata di cambiamento politico che ha trascinato il voto sulla Brexit in Gran Bretagna e dominato le elezioni presidenziali statunitensi continuerà anche in Francia? In tal caso, quale sarebbe l’impatto di una presidenza Le Pen per gli investitori, le imprese e i mercati finanziari in Europa e più in generale?
La reazione immediata dei mercati sarebbe probabilmente un picco di volatilità dovuto all’incertezza riguardo agli sviluppi futuri. Il mercato europeo potrebbe cedere nell’immediato fino al 10% per via dell’incertezza sulle possibili implicazioni per l’UE, con ripercussioni potenzialmente maggiori sulle borse mondiali. Una vittoria di Le Pen accrescerebbe la probabilità di un abbandono dell’euro da parte della Francia, per cui ci aspetteremmo un marcato ampliamento dello spread tra le obbligazioni francesi e i Bund tedeschi.
Nell’eventualità di una disgregazione dell’UE e di un ritorno dei singoli paesi alle valute nazionali esistenti prima dell’euro, il sistema bancario interconnesso dell’Unione si troverebbe esposto a significative pressioni, con conseguenze a carico del settore finanziario globale.
Marine Le Pen è la leader del Front National (FN), un partito nazionalista conservatore francese. Dal 2011 si è posta alla testa di un movimento volto a “decontaminare” il partito, rilassando alcune delle sue posizioni più estreme ed espellendo i membri più controversi, tra cui il suo stesso padre nel 2015. Nella sua campagna elettorale Marine Le Pen promette di curare e infine guarire i mali della Francia, che sono l’elevata disoccupazione, il forte indebitamento e la debolezza economica, mediante le sue proposte nazionalistiche e protezionistiche. Se venisse eletta alla presidenza, il suo successo dipenderebbe in larga misura dalla composizione del parlamento e dalla presenza di un Primo ministro cooperativo. In ogni caso, la nomina a presidente di Marine Le Pen segnalerebbe una svolta potenzialmente in grado di cambiare il volto dell’UE.
Tra le principali proposte di Le Pen figurano: n Un termine di sei mesi per rinegoziare l’appartenenza all’UE o avviare potenzialmente una “Frexit” n La reintroduzione del franco n Il “protezionismo intelligente” e i dazi doganali n La riduzione della pressione fiscale e il miglioramento del sistema di welfare n Una linea più dura sull’immigrazione e maggiori vantaggi per le persone di nazionalità francese n L’aumento della spesa per la sicurezza e per la difesa Posizionata più come candidata di centrodestra, con la sua difesa dei valori tradizionali francesi Le Pen potrebbe guadagnarsi la fiducia di alcuni elettori indecisi, in passato contrari al FN. Questi elettori si aspetteranno che Le Pen mantenga fede alla parola data e non torni alle vecchie politiche del FN. Per avere qualche speranza di ottenere un numero di seggi sufficiente alle elezioni parlamentari di giugno, altri membri del suo partito dovranno seguire il suo esempio cercando al contempo di non perdere gli elettori già conquistati.
Riecheggiando quanto accaduto durante le elezioni britanniche del 2015, la principale promessa di Le Pen sarà probabilmente quella di indire un referendum sull’Unione europea, unitamente alla proposta di reintrodurre il franco francese. Le sue promesse di negoziare un accordo migliore con l’UE suoneranno fin troppo familiari (specialmente alle orecchie dei britannici), ma non c’è dubbio che Le Pen si trovi in una posizione negoziale più forte di quella che occupata a suo tempo dal Regno Unito.
La Francia è un membro primario dell’unione monetaria e Bruxelles è pienamente consapevole dei pericoli di una seconda defezione. L’”asse franco-tedesco”, rappresentativo di poco meno di un terzo della popolazione e di quasi la metà del PIL dell’UE nel corso degli anni, è sempre stato parte integrante dell’Unione europea. Tuttavia, negli ultimi anni alcuni hanno suggerito che la Francia è diventata meno influente a causa della relativa debolezza della sua economia. Tra le difficoltà di cui risente l’economia francese figurano una spesa pubblica elevata e inefficiente, una ridotta performance economica, un processo di ribilanciamento incompleto e la palese esigenza di una riforma del mercato del lavoro.
Il rapporto tra debito pubblico e PIL pari al 96% suggerisce che la Francia ha bisogno dell’UE, un punto enfatizzato dal barone David de Rothschild, che ha definito una “catastrofe” l’ipotesi di una Frexit. La relazione non dovrebbe tuttavia essere considerata a senso unico. L’UE, dal canto suo, ha chiaramente bisogno della Francia per molte ragioni: in particolare, il paese è il maggior produttore di energia nucleare dell’Unione (con una quota del 51%) e gioca un ruolo fondamentale nel sostenere la moneta unica.
L’umore in Francia
La sfiducia nei confronti dell’eurozona si è accentuata. La risposta dell’UE alla crisi finanziaria globale si è concentrata sulle misure di austerità anziché sullo stimolo dell’attività economica, dando a molti l’impressione che la Francia sia governata da entità remote. Molti credono che i governi francesi succedutisi negli ultimi tempi abbiano delegato il potere alla Banca centrale europea (BCE), il che ha contribuito a rafforzare (portandolo perfino agli estremi) il sostegno a qualsiasi prospettiva diversa dal mantenimento dello status quo.
Nel corso delle elezioni passate il sostegno al FN è risultato fortemente correlato alla disoccupazione, a ulteriore conferma del fatto che a votare in favore di un cambiamento sono stati i cittadini maggiormente emarginati. Dal voto del 2014 in poi, Marine Le Pen ha conquistato ulteriori consensi grazie alla combinazione tra populismo dilagante, paura del terrorismo e, non da ultimo, un senso di frustrazione per le promesse disattese dal presidente François Hollande. Serpeggia inoltre una sensazione generalizzata di diffidenza nei confronti dei temi internazionali, che va aumentando di pari passo con il crescere dei timori della gente riguardo alla globalizzazione. In Francia, in particolare, tali sentimenti sembrano essere avvertiti in misura maggiore rispetto ad altri paesi europei; inoltre, i recenti attacchi terroristici hanno acuito i timori per l’immigrazione, facendo apparire il FN come un’opzione più appetibile, per via delle promesse incentrate sul protezionismo.
La disoccupazione giovanile resta un tema chiave, con gli ultimi dati che segnalano un tasso del 26,2% a fine 2016, un massimo storico per la Francia. Questo è uno dei nodi principali che Marine Le Pen dovrà affrontare. Sebbene il manifesto del FN non si concentri esclusivamente su questo tema, si spera che, multando di fatto le aziende che assumono personale non francese tramite imposte aggiuntive, si produca naturalmente un aumento delle assunzioni di giovani francesi.
Questo, tuttavia, è solo un aspetto del problema. Come riconosciuto dall’ex Primo ministro Manuel Valls, la legislazione francese sul lavoro rende più facile assumere personale temporaneo. La scarsa disponibilità di posti di lavoro a tempo indeterminato per i giovani produce tutta una serie di conseguenze, tra le quali l’incapacità di prendere in affitto o acquistare un’abitazione e la flessione dei consumi, che a sua volta si traduce in uno stato di sofferenza dell’economia francese. Alla luce dell’invecchiamento demografico, l’importanza di garantire ai giovani l’accesso al mondo del lavoro è sempre più impellente.
Quali ostacoli dovrebbe affrontare Marine Le Pen?
Le elezioni parlamentari si tengono un mese dopo quelle presidenziali, e il loro risultato determinerà quanto potere avrà Marine Le Pen. Per avere il pieno controllo, il presidente eletto deve assicurarsi la maggioranza dei voti in parlamento (289 seggi): un risultato pressoché impossibile per qualsiasi candidato. Dato che un parlamento a maggioranza FN è improbabile, sarebbe necessario formare un governo di coalizione, con un premier eletto tra le fila del partito con il maggior numero di seggi. Nell’ambito di una coalizione, Marine Le Pen sarebbe tenuta ad accettare una serie di limitazioni dei suoi poteri di presidente.
Le Pen ha in programma di rinegoziare le condizioni di adesione all’UE (compresa la restituzione alla Francia di pieni poteri sul controllo dell’immigrazione e sulla politica economica) e di indire un referendum se non ottiene un accordo migliore per il paese. Per indire un referendum bisogna invocare l’Articolo 89, il che richiede l’approvazione di tre quinti del parlamento o del primo ministro. Pertanto, diventa essenziale la composizione del parlamento o la persona designata come primo ministro da Marine Le Pen. Potrebbe esservi la possibilità che un premier determinato le metta i bastoni tra le ruote e blocchi un referendum sull’appartenenza all’UE. Ma è difficile immaginare che un governo voglia opporsi alla volontà degli elettori di Marine Le Pen, sapendo che con la sua vittoria un referendum sarebbe imminente.
Che cosa accadrebbe se la leader del FN riuscisse davvero a indire il referendum? Per quanto i recenti sondaggi segnalino una crescente propensione dei francesi a votare per la Frexit, molti sono comprensibilmente restii ad abbandonare la moneta unica per il timore di ritrovarsi con una valuta svalutata, che inciderebbe negativamente sui risparmi e sui mutui individuali. In risposta a queste apprensioni, Marine Le Pen ha dichiarato che “Un ‘serpente valutario’ europeo appare ragionevole. La coesistenza di una valuta nazionale con una moneta europea comune [l’ECU] non avrebbe ripercussioni sulla vita quotidiana”.
Questa ipotesi è forse un po’ troppo ottimistica. Un abbandono dell’euro da parte della Francia avrebbe ricadute significative sull’unione economica e monetaria nel suo insieme. Dopo il voto sulla Brexit la sterlina ha subito un crollo, il che ha aiutato a gestire l’ampio disavanzo delle partite correnti rendendo più allettanti gli investimenti nel Regno Unito. Tuttavia, in Francia occorre affrontare innanzitutto i problemi strutturali del mercato del lavoro, che non sarebbero alleviati dalla svalutazione della moneta.
Le Pen: Che cosa possiamo aspettarci dai mercati?
I mercati finanziari scontano già un certo grado di incertezza in Francia, come illustrato nella Figura qui sotto. I titoli di Stato francesi sono apparsi alquanto volubili sin dalla vittoria elettorale di Trump negli Stati Uniti, anticipando il rischio di una vittoria della Le Pen.
La reazione immediata dei mercati sarebbe probabilmente un picco di volatilità per gli asset francesi dovuto all’incertezza riguardo agli sviluppi futuri. Poiché si ritiene che una presidenza Le Pen accrescerebbe la probabilità di un abbandono dell’euro da parte della Francia, nel caso di una sua vittoria ci aspetteremmo un marcato ampliamento dello spread tra le obbligazioni francesi e i Bund tedeschi. A titolo di paragone, si noti che tale spread ha raggiunto i 150 punti base circa al culmine della crisi dell’eurozona nel biennio 2011/12 ed è alquanto probabile che faccia ritorno a quel livello. Analogamente, si amplierebbero i differenziali di altre obbligazioni periferiche e semi-core, in linea con l’aumento del rischio di disgregazione.
Sul fronte azionario, il mercato europeo potrebbe cedere nell’immediato fino al 10% per via dell’incertezza sulle possibili implicazioni per l’UE, con ripercussioni potenzialmente maggiori sulle borse mondiali. Le società con fondamentali solidi in settori meno interessati dai cambiamenti geopolitici dovrebbero dare prova di una discreta tenuta. Tuttavia, tornando al problema del debito denominato in euro, a essere penalizzate maggiormente sarebbero con ogni probabilità le banche europee, che potrebbero lasciare sul terreno il 20-30%, vista la flessione del 20% accusata in reazione alla Brexit. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea rappresenta verosimilmente un evento insignificante rispetto a una completa disgregazione dell’UE, giacché, con un ritorno dei singoli paesi alle loro valute preeuro, si avrebbe un notevole squilibrio tra attività e passività bancarie ancora denominate in euro.
Gli istituti di credito europei sono ormai da anni sull’orlo di una crisi, come ad esempio quando la Grecia era sul punto di uscire dall’Unione. A medio termine, considerata la situazione in cui si trova attualmente il sistema bancario italiano, quest’ultimo non sembra in grado di poter resistere alle conseguenze di un crollo dell’euro. A essere colpiti non sarebbero soltanto i paesi fortemente indebitati, ma anche quelli come la Germania (che detiene titoli di debito francesi e italiani).
Secondo lo European Law Journal, “i finanziatori privati aumenterebbero immediatamente la pressione (spread) sugli Stati membri che non hanno ancora abbandonato l’euro, generando costi incalcolabili sotto forma di un effetto domino che finirebbe anche per mettere a repentaglio l’economia dei paesi con un avanzo commerciale, che perderebbero una fetta importante dei loro mercati per le esportazioni”. Indubbiamente il sistema bancario interconnesso dell’UE sarebbe quello a maggiore rischio di collasso, con conseguenze a carico del settore finanziario globale.
Tuttavia, gli ostacoli a una Frexit rimarrebbero elevati e potrebbe intervenire una reazione più ponderata, anche sotto una presidenza Le Pen. In questo scenario rimarrebbero probabilmente un premio e una certa ripidità della curva a causa del mix di politiche più inflazionistiche e meno conservatrici dal punto di vita fiscale. Allo stesso modo, le obbligazioni francesi indicizzate all’inflazione, che attualmente scontano tassi di pareggio di circa l’1,31% su 10 anni, metterebbero a segno performance brillanti. Ampliando lo sguardo a un orizzonte di medio termine, un’eventuale disgregazione dell’euro esporrebbe il neo-introdotto franco a pressioni in un contesto in cui gli investitori tenterebbero di coprire il rischio vendendo la valuta.
Tra gli interventi tradizionali per contrastare la caduta libera del franco figurerebbero un aumento dei tassi d’interesse francesi e la vendita di attività in euro a fronte dell’acquisto di obbligazioni francesi al fine di rafforzare la valuta. Tali misure comporterebbero una serie di difficoltà per un governo impegnato a prevenire danni all’economia senza poter contare su notevoli riserve denominate in euro. Per quanto riguarda altre vecchie valute europee che potrebbero risorgere dalle ceneri, il marco tedesco si rafforzerebbe a fronte di un calo della lira italiana.
Per l’Italia e la Grecia potrebbe esserci in realtà un risvolto positivo, sotto forma dell’agognato deprezzamento delle rispettive valute. La rinazionalizzazione della politica monetaria permetterebbe ai singoli paesi di svalutare le monete nazionali, ma amplificherebbe anche il problema di rimborsare il debito denominato in euro. Il primo turno delle elezioni presidenziali francesi si terrà il 23 aprile; successivamente, qualora nessuno dei candidati ottenesse la maggioranza, i primi due andrebbero al ballottaggio in data 7 maggio. In un mondo che appare sempre più imprevedibile, tutti gli occhi saranno puntati sulla Francia.