L’ex presidente della campagna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, è nuovamente al centro dell’attenzione della stampa americana: alcuni documenti diffusi da parlamentare ed avvocato ucraino, Serhiy Leshchenko, sembrano provare come Manafort avesse riciclato 750mila dollari provenienti dal partito dell’ex presidente ucraino, il filorusso Viktor Yanukovych.
Il pagamento, datato 14 ottobre 2009, è stato diretto verso una società offshore in Belize con causale attribuita all’acquisto di 501 computer. Già lo scorso agosto Manafort fu accusato in un’inchiesta del New York Times di aver ricevuto pagamenti in nero dal Partito delle Regioni di Yanukovych per un ammontare pari a 12,7 milioni di dollari. In seguito a quello scandalo, che sembrava collegare Trump a uomini molto prossimi a Vladimir Putin, Manafort si dimise dalla carica di presidente della campagna elettorale del magnate.
Il fatto che il famoso consulente politico e lobbista avesse lavorato per l’ex leader ucraino (costretto alla fuga nel 2014 dopo i moti di piazza), del resto, non era una novità: sarebbe stato proprio Manafort a confezionare la strategia che poi avrebbe riportato al potere Yanukvych dopo la sconfitta elettorale del 2004. La novità, allora, era l’ingente (e imbarazzante) flusso di denaro ricevuto sottobanco. I nuovi dettagli forniti dall’avvocato ucraino aggiungerebbero nuovi elementi a questo quadro.
“Ho trovato durante quest’indagine che [Manafort] ha utilizzato giurisdizioni offshore e fatture falsificate per ottenere soldi dal leader ucraino corrotto”, ha tuonato Leshchenko nel corso di una conferenza stampa.
La notizia arriva all’indomani dei chiarimenti forniti alla commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti Usa da parte del direttore dell’Fbi James Comey. In tale occasione il direttore si è rifiutato di rispondere a domande specifiche sulle relazioni fra Manafort e l’Ucraina in quanto si trova sotto indagine nell’ambito dell’inchiesta sulle relazioni fra la campagna Trump e la Russia.