Le divergenze del debito pubblico comportano rischi per l’area euro
A dieci anni dallo scoppio della Grande Recessione, lo stato dei bilanci pubblici dei Paesi membri dell’eurozona è notevolmente peggiorato (grafici 1 e 2). Il difficile salvataggio della Grecia e, soprattutto, l’intervento della BCE nell’estate del 2012, hanno consentito di evitare la disgregazione dell’area, riportando alla calma il mercato delle emissioni sovrane.
Oggi, nonostante gli importanti sforzi di riequilibrio, la maggior parte dei membri dell’area fatica a conformare il bilancio dello Stato con le regole europee. Considerando le quattro maggiori economie, Francia e Spagna continuano a evidenziare un disavanzo pubblico superiore al 3% del PIL e mantengono entrambe un debito superiore al 60% del PIL.
Quel che più conta è che nessun Paese, con l’eccezione della Germania, è riuscito a riportare il debito pubblico su una traiettoria discendente. In assenza di interventi volti ad attenuare queste divergenze, le tensioni politiche fra i Paesi membri potrebbero acuirsi nel giro di pochi anni.
Fra le grandi economie, la Germania è oggi l’unica ad aver già avviato un rapido abbattimento del rapporto fra debito e PIL (grafico 3). L’attuale prudenza da parte delle autorità tedesche deriva soprattutto da un’evoluzione demografica sfavorevole: a partire dal 2025, in assenza di interventi, i costi legati all’invecchiamento della popolazione dovrebbero comportare una nuova ascesa del debito pubblico rispetto al PIL.
La Spagna, particolarmente toccata dalla crisi, ha visto il suo debito passare dal 40% del PIL nel 2007 al 100% nel 2016 (grafico 4). Per riportarsi al 60% entro il 2037, il governo spagnolo deve proseguire gli sforzi di riequilibrio. Il forte recupero dell’attività economica e le numerose riforme già attuate dovrebbero offrire un sostegno.
Nei prossimi anni, tuttavia, il Paese deve ancora migliorare il suo saldo primario di circa 3 punti di PIL. Se l’attuale politica rimane invariata, infatti, il peso del suo debito continuerà a divergere e potrebbe persino iniziare a salire rapidamente se, in caso di turbolenze sui mercati, il premio pagato dallo Stato spagnolo si riportasse ai livelli di inizio 2012.
La Francia presenta un deficit e un debito pubblico che, rapportati al PIL, sono sovrapponibili a quelli della Spagna (grafico 5). Come in Spagna, uno sforzo finanziario di poco superiore a 3 punti di PIL consentirebbe quindi alla Francia di riportare il suo debito pubblico su una traiettoria discendente, verso un livello del 60% entro il 2037. Tuttavia, contrariamente alla Spagna, negli ultimi anni la Francia ha intrapreso poche iniziative nella direzione delle riforme e il riequilibrio delle sue finanze pubbliche va a rilento.
Da diversi mesi, gli appuntamenti elettorali hanno fatto chiaramente accantonare questi obiettivi. E nei programmi dei diversi candidati, non se ne riparla prima del 2019. In assenza di un cambio di rotta, i mercati potrebbero nel corso dei mesi finire per allarmarsi: l’aumento del premio pagato dallo Stato francese porterebbe così, nel medio periodo, a far salire sensibilmente il rapporto debito/PIL.
Il caso italiano è più complesso. Senza sforzi aggiuntivi, il peso del debito si ridurrebbe dal 130% al 120% del PIL in 10 anni (grafico 6): contrariamente alla Francia e alla Spagna, nel 2016 l’Italia ha beneficiato di un avanzo primario dell’1,7%. Per riportare il debito al 60% del PIL nel 2037 è tuttavia necessario rafforzare ulteriormente il suo saldo primario di quasi 3 punti di PIL. La ripresa italiana rimane fiacca e la situazione politica incerta.
I mercati potrebbero anche in questo caso allarmarsi, tanto più che il Governo ha previsto alcuni stimoli all’attività economica nel 2017 e nel 2018, procrastinando in questo modo l’allineamento del suo debito pubblico con quanto prescritto dalla regola del rapporto di 1 a 20. Così facendo, l’Italia rischia l’apertura da parte della Commissione europea di una procedura per disavanzo eccessivo a suo carico.
Queste differenze tra le posizioni di bilancio delle quattro grandi economie dell’eurozona non sono oggi drammatiche. A medio termine, tuttavia, non si possono trascurare le divergenze in termini di direzione del debito pubblico. Se nei prossimi anni alcune grandi economie dell’Eurozona dovessero faticare a riprendere il controllo del loro debito pubblico e, ancor più, a riportarlo su una traiettoria discendente conforme agli impegni di bilancio assunti, risorgeranno sicuramente tensioni fra i Paesi ma anche sui mercati.