Il 19 aprile scorso si è tenuto, presso la biblioteca “Giovanni Spadolini” del Senato, un interessante convegno dal titolo “Giubileo bancario”, organizzato da Confimprese Italia.
In tal sede si è discusso dell’opportunità, in questo momento di perdurante e grave crisi economica, di escogitare soluzioni atte a comprimere l’ammontare delle cd. sofferenze bancarie, vale a dire di quei crediti che, a causa della grave difficoltà od impossibilità di restituzione in capo al debitore, gonfiano i bilanci delle banche e si scontrano con le norme europee (BCE) che vorrebbero la loro rapida eliminazione dai medesimi bilanci.
È possibile ritenere che tale pulizia dei bilanci venga effettuata nei tempi e modi richiesti dalle autorità europee? Purtroppo è impossibile che ciò accada in tempi brevi. Si pensi che il valore netto delle sole sofferenze (dopo le svalutazioni e rettifiche operate fino al 31.12.2016) è di poco inferiore agli 80 mld. di euro (77 mld a fine febbraio).
Nel sistema italiano per oltre 114 banche l’ammontare netto delle “sofferenze” e dei crediti di dubbia esazione supera abbondantemente il valore contabile del patrimonio. I crediti dubbi sono tutte quelle partite che, oltre alle vere e proprie sofferenze, obbligano le aziende all’iscrizione di svalutazioni anche prudenziali. Il loro ammontare è pari, nel sistema, a circa 120 miliardi di euro.
In buona sostanza nessuna banca italiana è in grado tecnicamente, nel breve o medio periodo, di rettificare il valore contabile di tutte queste partite in ragione di una seria prospettiva di recupero (bassa o nulla in particolare per le “sofferenze”). Ma non è solo per le banche che si è “pensato” il giubileo bancario, ma in particolare per le famiglie ( che corrono il serio rischio di perdere, ad esempio, la prima casa a fronte del mutuo impagato) e le piccole e medie imprese alle prese con la perdurante stagnazione e recessione economica.
La soluzione, piuttosto che attraverso cessioni a fondi specializzati (spesso veri e propri fondi “avvoltoio”) a prezzi eccessivamente bassi (si ipotizza un “range” tra il 10 ed il l 15% del valore nominale), passerebbe per una rinegoziazione col debitore a valori più vicini al valore netto contabile (oggi mediamente pari a circa il 40% del nominale) e comunque superiori al prezzo di cessione a terzi. Rinegoziazione che, unita alla previsione contrattuale di un lungo periodo per il rientro (in particolare si pensi ai mutui fondiari), permetterebbe a milioni di famiglie di respirare ed alle banche di cancellare da subito tali partite dalle centrali rischi di sistema, cioè di escludere i debitori dagli elenchi dei cd. cattivi pagatori, la cui iscrizione impedisce a tali soggetti di reimmettersi nel circuito bancario come clienti.
Colgono l’essenza del problema due disegni di legge presentati alla Camera, l’uno a firma dell’on. Paglia e l’altro dell’on. Marotta ed un terzo presentato al Senato a prima firma dalla Senatrice De Patris, che, se perfezionati con la previsione di equilibrati benefici fiscali, potrebbero dare il via ad un processo di risanamento atto in buona sostanza a permettere alle banche di ridurre sensibilmente il problema delle sofferenze, e dunque, in presenza di minimi vincoli patrimoniali, di tornare ad erogare credito in quantità simili a quelle pre-crisi. Cosa essenziale per l’Italia, la cui economia, a causa del basso tasso di capitalizzazione delle imprese, è fortemente influenzata dal credito bancario.
Ciò tuttavia richiede, da un lato, un forte incentivo alla rinegoziazione, ad esempio attraverso un bonus fiscale (da far valere in sede di dichiarazione dei redditi da parte delle banche) tanto più incisivo quanto più il valore rideterminato contrattualmente dalle parti sia lontano dal valore netto contabile al 31 dicembre 2016, dall’altro disincentivando le medesime banche da un rischio d’indifferenza alla soluzione proposta, impedendo la deduzione delle ulteriori svalutazioni e perdite attese, iscritte nei bilanci successivi al 2016 sulle partite considerate dalla nuova legge, in caso di rifiuto della proposta del cliente.
Inoltre andrebbe prevista la totale immunità fiscale per le imprese che, accedendo alla rinegoziazione, si vedano contrattualmente rimesse significative parti del proprio debito, analogamente a quanto già previsto dal sistema tributario per i soggetti che accedono alle procedure della legge fallimentare.
Si intende dire, in altri termini, che per i debitori che si configurano come imprese si applicherebbe l’art. 88, comma 4 ter del TUIR, che, come noto, stabilisce una piena immunità fiscale per le riduzioni dei debiti delle imprese in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio, come pure nel caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 82 bis della L.F. ovvero d’un piano attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lett. D) della medesima L.F.
Del resto, sotto altro profilo, se tutte le sofferenze fossero cedute ai fondi esteri, tutte le significative plusvalenze realizzate (decine di mld di €) non costituirebbero materia imponibile per l’erario, con conseguente significativa perdita di gettito. Al contrario, l’ipotesi da noi configurata manterrebbe la ricchezza in Italia e soprattutto darebbe ragionevolmente luogo ad un serio riavvio dell’asfittica economia italiana.
Del resto, non si dimentichi che tale nuova legge (un testo piuttosto articolato di essa è stato redatto dai sottoscritti proprio al fine di “rimettere in moto” le parti ingessate del sistema: v. l’allegato) può ricondursi concettualmente alla legislazione in tema di esdebitazione dei privati (legge n. 3 del 2012: artt. 6 e ss.), con il primario obiettivo, non solo di rendere omogenei i valori contabili dei crediti espressi nei bilanci delle banche ed in quelli delle imprese debitrici, ma anche di cancellare ciò che oggi, nella buona sostanza, non può ragionevolmente essere ripagato.
Così come il Giubileo (quello vero) cancella le pene che la commissione del peccato provoca, così analogamente il giubileo bancario cancella comunque una parte dei crediti che non possono essere pagati, configurando dunque una vera e propria loro rimessione. Poiché vi è un forte interesse di molti gruppi parlamentari è da ritenere che vi siano alte probabilità di successo all’approvazione del D.D.L. Occorre comunque l’adesione del MEF, che oggi, con l’ammorbidimento della propria posizione da parte della BCE, non troverebbe seri ostacoli con l’ordinamento europeo.