Anche se il nuovo governo Macron attuerà le “politiche corrette” con rapidità, per rilanciare l’economia francese ci vorranno più di cinque anni di tempo (la durata del mandato presidenziale). Ne è convinto Patrick Artus, research analyst di Natixis.
Questo significa anche che tra cinque anni il rischio di una vittoria di un candidato anti-establishment, sia dell’ala destra come Marine Le Pen o di quella di sinistra, come Jean-Luc Mélenchon, è più probabile.
Emmanuel Macron, fino a due anni fa un banchiere mezzo sconosciuto nello scenario politico del paese, ha vinto approfittando della voglia di cambiamento degli elettori francesi e del messaggio di speranza per la Francia e l’Europa unita che ha mandato.
Detto questo, secondo la banca francese è molto difficile che il nuovo corso Macron riuscirà a sistemare i problemi strutturali più gravi del paese, la seconda economia dell’area euro, in soli cinque anni. “Per correggerli ci vorrà un processo difficile e protratto nel tempo“, dice Artus.
Tra i fattori problematici principali citati ci sono:
- Il fatto che i prodotti non sono sufficientemente sofisticati e il processo di modernizzazione del capitale aziendale prosegue a rilento, in un momento in cui i costi per le società sono elevati.
- Un carico fiscale eccessivo sulle aziende: per porvi rimedio ci vorrebbe “una riduzione del peso delle spese pubbliche, che sarà un processo graduale” e lento.
- Difetti nel sistema di apprendistato e insegnamento “evidenti e duraturi”
Pertanto secondo l’analista “non è ben chiaro come la situazione strutturale dell’economia francese possa essere decisamente migliore tra cinque anni”, come promette il neo eletto presidente di orientamento centrista e di stampo liberale.
Ue, piano unione fiscale di Macron “non funzionerà”
Ora che gli elettori francesi hanno scelto di far pendere l’ago della bilancia dal sistema paralizzante di aumento delle tasse del governo Hollande a un sistema con più convenzionali tagli delle tasse e riforma del mercato del lavoro, andando verso le elezioni parlamentari di giugno secondo Jupiter Asset Management il punto centrale diventa “la liberalizzazione di settori chiave dell’industria“.
“L’economia francese ha vissuto uno stallo degli investimenti e della spinta all’imprenditorialità rispetto ai vicini Paesi del Nord Europa e alla fine l’elettorato ha riconosciuto questo problema. Gli elettori francesi hanno optato per soluzioni convenzionali viste con particolare favore dalla Germania, piuttosto che per le proposte radicali di Marine Le Pen e del suo Front National”, osserva Stephen Mitchell, Head of Strategy e Global Equities del gestore.
Anche negli Stati Uniti tra i commentatori di politica ed economia c’è un certo scetticismo nei confronti delle capacità di Macron di rilanciare l’economia, non solo in Francia, ma anche in Europa. In un editoriale critico sul magazine di finanza Forbes, per esempio, Tim Worstall sottolinea che il piano di Macron per le riforme in campo europeo e per un’unione fiscale rafforzata semplicemente “non funzionerà”.
Macron, 39enne alla guida di un movimento – En Marche! – che ha appena un anno di vita, non ha la leva politica per attuare i suoi piani. Per l’editorialista semplicemente “non è possibile che la gente in Europa si convinca a mandare il 20% del Pil nazionale a Bruxelles“. È quello l’importo che più o meno servirà perché il progetto di unificazione fiscale vada in porto.