Al termine di questa premessa e nel corso dello stesso intervento, furono suggerite alcune soluzioni che, a mio parere, non affrontando nel merito il problema del modus operandi della “Collaborazione attiva” da parte degli Intermediari finanziari, non potrà in alcun modo contribuire alla risoluzione del segnalato allarme.
Dopo aver militato in incarichi di responsabilità nella Guardia di finanza per circa 30 anni, mi occupo a tempo pieno di “antiriciclaggio” da circa 15 anni, prima come Responsabile antiriciclaggio di un Gruppo bancario e da qualche anno come libero professionista.
A voler sintetizzare le ragioni di tali condotte, in particolare da parte delle banche ma, possiamo aggiungere, da tutti i soggetti tenuti alla c.d. “Collaborazione attiva” di cui al D.lgs 231/07, potremmo dire:
- FORMAZIONE ANTIRICICLAGGIO
A fronte di un obbligo formativo contemplato dal 1° comma dell’art.54 e sanzionato dal 1° comma dell’art.56 del D.lgs 231/07, ancora oggi, non è dato sapere quali sono i soggetti abilitati e deputati alla “Formazione antiriciclaggio”.
In proposito, tutti fanno formazione, indifferentemente e senza fornire in proposito quella necessaria esperienza pratica di cui ogni utente avrebbe bisogno.
Si bada solo alla forma senza preoccuparsi in alcun modo della sostanza, ovvero dei problemi pratici e operativi che hanno tutti coloro che sono a diretto contatto con la clientela.
Ergo, urge la costituzione di un apposito “Albo dei formatori”.
- ACCERTAMENTO & SANZIONI
Il timore delle banche di incappare in pesantissime sanzioni, sovente ingiustificate e pretestuose, induce le stesse – quale reazione direi naturale – a fare “segnalazioni di operazioni sospette” solo per fare numero, intendendone quasi una sorta di legittima difesa secondo il detto “melius-est-abundare-quam-deficere” (Meglio abbondare che scarseggiare).
A mero titolo di esempio, voglio raccontare qualche caso direttamente vissuto, per aver difeso qualche sventurato incappato in qualche controllo della Guardia di finanza (vicenda autobiografica):
a) Nella veste di Responsabile aziendale antiriciclaggio di un gruppo bancario, segnalai come “operazione sospetta” per una ipotesi di emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti, due imprenditori operanti nel settore del commercio all’ingrosso e dettaglio di ortofrutta. Gli stessi, presentatosi congiuntamente davanti allo sportello di una nostra banca nell’anno 2004, effettuarono le seguenti operazioni:
– L’imprenditore nr.1, utilizzando il conto corrente aziendale, dispose un bonifico a favore dell’altro per euro 100.000,00, con la causale “a saldo fattura nr.??, lasciando intendere che trattavasi di operazione strumentale all’attività economica esercitata;
– A seguire, l’imprenditore nr.2, riscontrata la disponibilità sul proprio conto corrente aziendale, prelevò in contanti €. 90 mila per restituirli, brevi manu, alla presenza dello stesso cassiere, al traente ufficiale dell’operazione (imprenditore nr.1).
Questa operazione è stata immediatamente segnalata come operazione sospetta, sottendendo una falsa fatturazione finalizzata all’abbattimento dell’imponibile fiscale, attraverso la documentazione in contabilità di costi fittizi.
Dopo qualche mese, lo stesso imprenditore nr.1, senza presentarsi congiuntamente allo sportello, dispose analoga operazione (bonifico da una parte e prelievo in contanti a cura del destinatario della somma).
– A distanza di qualche anno, in occasione del controllo dell’organo di polizia deputato alla verifica in conseguenza della mia attivazione, acquisendo i rispettivi estratti conto delle due attività economiche, rilevò la seconda operazione e, ritenendola analoga alla precedente, mi “contestò” la omessa segnalazione di operazione sospetta;
– Nel contempo, mi venne contestata l’Omessa comunicazione al Mef in ordine all’irregolare trasferimento di denaro contante (restituzione dei 90 mila euro in contanti). Feci prontamente notare che la “Connessione obiettiva con un reato” di cui all’art.24 della legge n.689/81 mi esonerava dall’inoltro della predetta comunicazione e ricordando, peraltro che, con il 2° comma dell’art.51 del D.lgs 231/07 la lacuna normativa della vecchia legge n.197/91 era stata colmata, significando che nessuna “comunicazione” al Mef andava ragionevolmente fatta. Non volendo sentire ragioni, i verbalizzanti procedettero alla contestazione.
– Ho avuto una intensa corrispondenza con il competente ufficio della Banca d’Italia, al quale rappresentai che per anni, i responsabili dell’allora UIC, verbalmente, ci avevano sempre ricordato di non reiterare l’inoltro di una Segnalazione di operazione sospetta in presenza di condotte analoghe. Vanamente chiesi un riscontro formale (scritto) di queste pregresse e ragionevoli “direttive verbali”, onde potermi difendere dalla contestazione della Guardia di finanza che concludeva la verbalizzazione con una sanzione di 120 mila euro.
– Ambedue le contestazioni, vennero naturalmente “archiviate” dal Mef dopo circa cinque anni.
b) Con la sostituzione del Responsabile aziendale antiriciclaggio, venne inoltrata una Segnalazione di operazione sospetta dopo circa un anno dalla data contabile dell’operazione. Il nuovo responsabile della funzione, lesse in modo più restrittivo la stessa operazione dell’anno prima, ricevendo, nel volgere di qualche mese, la contestazione da parte della Guardia di finanza di “Omessa segnalazione di operazione sospetta”.
Posto che la segnalazione non andava ragionevolmente fatta in considerazione del profilo soggettivo del cliente – grosso imprenditore edile con un ingente fatturato annuo – il Mef, nel respingere le ragioni della difesa all’uopo presentata, ha condannato la banca ad una sanzione amministrativa di circa un milione di euro.
L’intera vicenda ha dell’incredibile, posto che, in primo luogo, poteva parlarsi di ritardo e non certo di omissione.
Oggi, in proposito, pende l’esito dell’appello in Tribunale.
Chi vivrà, vedrà!
Avrei ancora diversi casi da raccontare, tuttavia, per carità di patria mi fermo qua …
Poche idee ma confuse!
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