Uno dei metodi di elusione delle norme di procedura di affidamento a “trattativa privata” di appalti pubblici da parte della Pubblica amministrazione, ripetutamente utilizzato nell’era di “tangentopoli”, ha riguardato i c.d. “lavori complementari”, dettati da circostanze impreviste per la esecuzione dell’opera[1], meglio conosciute come “varianti in corso d’opera” che, grazie alla ripetuta natura complementare all’opera principale originariamente aggiudicata, veniva affidata “a trattativa privata”, senza gara e naturalmente a prezzo pieno.
Ricordo l’occasione in cui, al termine dell’aggiudicazione di una Licitazione privata concessa al massimo ribasso di circa il 50% su una base d’asta di 7 miliardi delle vecchie lire, seguì l’approvazione di una variante in corso d’opera a cura dello stesso committente (ANAS), per la realizzazione di un lotto stradale in terra di Calabria.
Proprio grazie all’art.5 della legge 584/77 indicata in appendice, tale “variante” del valore di ben ottanta miliardi del vecchio conio, oltre dieci volte superiore al valore dell’appalto principale con la formula della “trattativa privata”, cioè senza alcuna gara, e quindi senza sconto alcuno.
La vicenda nacque dall’aggiudicazione a licitazione per la realizzazione di un lotto stradale allocato in provincia di Catanzaro, aggiudicato con il massimo ribasso per 3,5 miliardi. Prima ancora che partisse il cantiere, giunse uno studio del Consiglio Nazionale Ricerche (CNL), in base al quale, tenuto conto della location della infrastruttura, incidenza demografica del territorio, l’arteria stradale doveva essere realizzata a quattro corsie (il doppio di quanto indicato nel progetto principale). La nuova opera, venne pertanto affidata a “trattativa privata” alla stessa impresa aggiudicataria dell’appalto principale in violazione alla legge allora vigente che vietava il superamento del 50% dell’importo dell’appalto principale.
In pratica, la intervenuta “variante” stante il contenuto letterale della norma, non avrebbe potuto superare la soglia di 1, 75 miliardi delle vecchie lire, corrispondente al 50% dell’appalto originariamente aggiudicato con gara pubblica.
Per fare un esempio e meglio chiarire il paradosso e quindi la natura della grave violazione all’epoca contestata come l’Abuso d’ufficio in capo ai dipendenti pubblici, in “concorso” con l’appaltatore: faccio una gara per realizzare una pavimentazione e procedo a trattativa privata la realizzazione di un edificio di cinque piani.
Ad oggi, non conosco i dettagli del Nuovo Codice degli appalti di cui al D.lgs n.50/2016 che ha introdotto numerose semplificazioni nelle procedure di affidamento, ma starei tuttavia molto attento nelle procedure di aggiudicazione delle “varianti” in corso d’opera, nonché degli abusi che ahimè sembrano persistere nel frequente ricorso alla “trattativa privata”, di cui la cronaca giudiziaria ci informa con cadenza quotidiana.
Parliamone perché gli smemorati sono assai e le occasioni di illegalità, ahimè non mancano.
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[1] lettera f) dell’articolo 5 della legge n.584/77 che aveva a sua volta recepito la direttiva comunitaria nr.305/71, laddove si diceva testuale: “f) quando si tratti di lavori complementari che non figurino nel progetto posto a base del primo appalto concluso e che siano resi necessari da una circostanza imprevista per l’esecuzione dell’opera, a condizione che siano affidati allo stesso imprenditore e non possono essere tecnicamente e economicamente separabili dall’appalto principale, oppure, benché separabili, siano strettamente necessari al perfezionamento dell’appalto stesso e che il loro ammontare complessivo non superi il 50% dell’importo del primo appalto.”