In concomitanza con l’anniversario delle stragi dei due Giudici simbolo per la lotta alla mafia e al malaffare in genere, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ad un quarto di secolo di distanza dagli eccidi che tutto il mondo ha vissuto, voglio ricordare un passaggio fondamentale del nostro dispositivo giuridico, oggi utilizzato nell’azione di contrasto al crimine organizzato da parte dello Stato.
Sull’onda emotiva delle stragi, il Parlamento dell’epoca approvò un Decreto legge in data 8 giugno 1992, n. 306 “Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, convertito in legge 7 agosto 1992, n.356″.
Come per la legge “Rognoni-La Torre [1]”, promulgata dopo l’assassinio del compianto Generale Carlo Alberto DALLA CHIESA – all’epoca prefetto di Palermo – che per la prima volta, traducendo l’intuizione dell’allora Presidente della Regione siciliana Piersanti MATTARELLA – pure ucciso dalla mafia – volto ad assalire i patrimoni mobiliari ed immobiliari delle organizzazioni mafiose e che introdusse la definizione giuridica dell’associazione mafiosa di cui all’art.416 bis del codice penale [2], analoga legge di grandissima portata ed efficacia è stata introdotta dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio.
Il concetto assolutamente nuovo nel dispositivo di contrasto al fenomeno mafioso, pur continuando a riguardare l’aspetto patrimoniale, introdusse una impostazione rivoluzionaria di assoluta novità nel panorama legislativo, anche considerato il clima di eccezionale gravità per la stessa vita delle Istituzioni vissuta nella stagione delle stragi di cui parliamo.
L’inversione dell’onere della prova!
Questo elemento di novità ha rappresentato il “cavallo di Troia” nel nostro panorama giuridico, introducendo la c.d. “confisca allargata” ex 12-sexies d.l. 306/92, l. 356/92 (nuovamente disciplinata con d.l. n. 399/94 conv. in l. 501/94.
Si è trattato di un provvedimento di confisca che viene irrogato (eventualmente previo sequestro preventivo) in caso di condanna penale relativamente a beni di cui il condannato (o imputato che abbia patteggiato la pena) non possa giustificare la provenienza e che egli detiene o ha la disponibilità “anche per interposta persona fisica o giuridica”.
Il provvedimento riguarda, in particolare, il caso che intervenga condanna per determinati reati (art. 416, comma 6, 416-bis, 600, 601, 602, 629, 630, 644, 644-bis, 648, 648-bis, 648-ter c.p., art. 12-quinquies, comma 1, d.l. 306/92, art. 73, e 74 t.u. stupefacenti), nel caso in cui il condannato non possa giustificare la provenienza, ovvero nel caso in cui il giudice ritenga che il condannato detenga il bene per interposta persona e, in particolare, ove il bene abbia un valore “sproporzionato” rispetto al reddito del terzo intestatario, reddito individuato in relazione a quello “dichiarato ai fini delle imposte sul reddito” ovvero il bene risulti avere un valore sproporzionato rispetto alla “attività economica” svolta dal terzo. Il provvedimento colpisce, pertanto, anche soggetti terzi estranei al procedimento penale e rappresenta una vera e propria sanzione senza condanna, ovvero senza reato (essendone il terzo estraneo). Inoltre, come affermato di recente dalla giurisprudenza (Cass., sez. II pen, sentenza 26 febbraio-10 marzo 2009, n. 10549), non è necessario accertare il nesso eziologico tra il reato consumato e il bene oggetto di confisca.
In pratica, se in condizioni di normalità, ovvero per la criminalità comune e quindi con esclusione dei reati di mafia, dimostrare la illiceità o illegittimità di un patrimonio compete all’accusa (magistratura e polizia giudiziaria), nella lotta alle organizzazioni mafiose compete all’inquisito ovvero condannato dimostrare la legittima provenienza dei propri beni, laddove risultino sproporzionati ai redditi ufficiali dichiarati e al tenore di vita condotto: inversione dell’onere della prova, per l’appunto!
La stagione delle stragi, come successe dieci anni prima, è stata la dimostrazione plastica che le leggi più efficaci e dure nell’azione di contrasto alla criminalità mafiosa sono state approvate sull’onda emotiva di gravi emergenze.
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[1] Legge 13 settembre 1982, n.646 <<Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n.1423, 10 febbraio 1962, n.57 e 31 maggio 1965, n.575. Istituzione di una commissione di inchiesta sul fenomeno della mafia – Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, convertito, con modificazioni, nella legge
[2] Art. 416-bis. Associazione di tipo mafioso (1)
Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni. (2)
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni. (3)
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma. (4)
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta (5) e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere (6), che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.