Archiviate le presidenziali francesi e allontanato il pericolo nazionalista, per i mercati azionari europei si è aperta una fase di minore tensione. Per Matt Siddle, portfolio manager del fondo Fidelity European Larger Companies solo fattori esterni potrebbero mettere in difficoltà l’impostazione positiva.
Le elezioni presidenziali francesi sono ormai in archivio. Pensa che ci siano altri ostacoli sulla strada dei mercati azionari europei?
Le elezioni francesi hanno rimosso uno dei fattori chiave che gli investitori internazionali temevano. Il semplice fatto di non avere Marine Le Pen presidente riduce fortemente il rischio politico nei mercati europei. I quali, per contro, sono sostenuti da fattori positivi come le prospettive economiche dell’area e i fondamentali. Tutti i principali indicatori economici sono positivi in Europa e sono ancora in fase di miglioramento, laddove negli Stati Uniti e in Cina sono ancora a livelli elevati ma mostrano segnali di indebolimento. Sul fronte societario si verifica qualcosa di simile. Gli utili delle aziende crescono di più che negli Stati Uniti e le revisioni delle attese sono verso l’alto. Infine le valutazioni delle azioni, se si prendono in considerazione misure che vanno al di là del singolo ciclo economico come il price to book ratio, sono vicine ai minimi degli ultimi 40 anni. Detto questo bisogna essere coscienti che i mercati hanno corso molto e le valutazioni sono più elevate di quanto non fossero un anno fa. In questo scenario il rischio maggiore è forse un deterioramento del sentiment dei mercati a seguito di un peggioramento delle prospettive economiche. Al momento non ci sono vere ragioni per aspettarsi una svolta nel breve termine ma se dovessi puntare l’attenzione su qualche elemento, seguirei la Cina e gli Stati Uniti. La Cina, dove la Banca centrale e il governo stanno cercando di adottare politiche restrittive per ridurre la speculazione e il livello di indebitamento. Gli Stati Uniti dove il ciclo di rialzi dei tassi della Federal Reserve potrebbe mettere un po’ di pressione al consumatore americano, Si tratta, in ogni caso, di due rischi indiretti, esterni all’Europa.
Il fondo Fidelity European Larger Companies investe su società con elevata capitalizzazione. Grandi aziende fortemente internazionalizzate. Potrebbero incontrare delle difficoltà se il protezionismo dovesse trovare spazio nell’economia globale?
È vero che le grandi compagnie sono più esposte alle vendite fuori dall’area geografica di origine ma è anche più probabile che abbiano più centri produttivi in diverse regioni. Se hai più centri di produzione potresti dover effettuare dei ribilanciamenti della produzione ma è una situazione completamente gestibile. Chi invece ha centro produttivi in una sola area geografica potrebbe affrontare qualche problema in più. In ogni caso bisogna guardare alla singola società. Per quanto mi riguarda non vedo grandi rischi su questo fronte, in particolar modo dopo la vittoria di Macron alle presidenziali francesi. Credo che il principale rischio di protezionismo possa arrivare dalle negoziazioni sulla Brexit, se l’Unione europea dovesse adottare atteggiamenti punitivi verso la Gran Bretagna. Se ciò accadesse ci sarebbe un impatto economico negativo pesante, in Gran Bretagna, nel breve termine. Tuttavia si tratta dell’economia più flessibile in Europa e sarebbe capace di adeguarsi e recuperare nel medio termine. Piuttosto ci sarebbero altre economie in Europa con problemi di deficit o di elevato indebitamento che potrebbero subire conseguenze forti in caso di frenate dell’economia determinate da una hard Brexit. Non mi sembra invece che Trump sia un vero protezionista. Ha fatto tanto rumore ma poi ha agito pragmaticamente. Penso che stia agitando il bastone per ottenere migliori accordi commerciali.
Nell’universo dell’azionario europeo quali sono i settori che preferisce?
Sono due i fattori chiave che tengo in considerazione quando investo: la qualità della società e il prezzo dell’azione. In particolare per qualità intendo la forza del business, la capacità di creazione di valore nel lungo termine, la sostenibilità del modello di business ossia la difficoltà di replicarlo da parte dei concorrenti. La qualità deve incrociarsi con la quotazione dell’azione. La valutazione del titolo deve essere attraente. Non cerco le società migliori su ciascuno dei due parametri ma la combinazione migliore, società di buona qualità le cui quotazioni sono basse e il risk-reward è attraente. Questo permette non solo di avere rendimenti interessanti nel lungo termine ma anche di ridurre il rischio di downside nei momenti difficili. Al momento trovo più idee di investimento di questo tipo, per quanto riguarda i settori tradizionali-difensivi nel comparto dell’healthcare, su cui sono sovrappesato, piuttosto che sulle telecom. Nei settori tradizionali ciclici la mia preferenza va ai tecnologici mentre non sono attratto dai titoli bancari. Infine nel comparto commodity sono overweight sulle compagnie petrolifere e underweight sui metalli industriali e sui materiali da costruzione. Le società healthcare di solito sono dei buoni business, sono profittevoli e propongono ritorni elevati, hanno una buona differenziazione dei prodotti e la capacità di imporre il prezzo dei prodotti. Inoltre le quotazioni nel settore sono ancora basse. Pesano i timori su una riduzione del prezzo dei medicinali, un’ipotesi che circolava durante la campagna elettorale statunitense. Tuttavia sono state penalizzate anche società che non producono medicinali ma apparecchiature medicali, equipaggiamenti medici, protesi, che non verrebbero colpiti da eventuali provvedimenti sui prezzi. Le società che ho in portafoglio sono soprattutto di questo secondo tipo e Fresenius e Smith & Nephews sono due esempi. Tra i tecnologici una società che seguo con molta attenzione e Sap, per la sua capacità di lanciare nuove tecnologie e perché in possesso di un nuovo database che permette di analizzare e gestire dati in maniera molto veloce. Tra i titoli petroliferi, infine, un buon esempio di compagnia che attrae la mia attenzione è Shell, non tanto per il recupero del prezzo del petrolio ma per la riduzione e la razionalizzazione dei costi che ha operato. Con il prezzo del petrolio a 50 dollari al barile, compagnie come Shell sono state in grado, nella prima parte dell’anno, di generare un cash-flow pari a quello che generavano quando il barile di oro nero era a quota 100 dollari.
Ha detto che il settore bancario non è attraente, secondo i suoi parametri di stock-picking. Neanche le banche italiane le cui valutazioni sono ancora basse?
È vero hanno valutazioni basse ma non così basse se le si mette in relazione ai profitti che generano. La domanda è se i profitti saranno in grado di crescere così rapidamente come gli investitori si aspettano. È necessario che i profitti crescano molto più rapidamente per giustificare le valutazioni odierne dei titoli bancari italiani. Un sostegno ai profitti potrebbe arrivare dal rialzo dei tassi di interesse, tuttavia l’inflazione core è piatta, intorno all’1%, ben al di sotto del target della Bce al 2%. In queste condizioni è difficile giustificare un rialzo dei tassi di interesse.