Nel più ampio quadro della necessaria trasparenza in grado di evidenziare l’origine della provvista, una particolare attenzione deve essere posta, a cura dei soggetti obbligati agli adempimenti antiriciclaggio – mondo bancario e professionisti, area contabile e legale – in presenza di “finanziamento socio”, nell’ambito di rapporti economici interessanti la gestione di una entità giuridica.
In proposito, di particolare interesse appare la recente sentenza della II Sezione penale della suprema Corte di Cassazione n.11491 del 9 marzo 2017.
Esordisce infatti la citata sentenza che, “commettono reato di riciclaggio” il rappresentante legale e il socio della società che fanno temporaneamente transitare nelle scritture contabili della società, a titolo di”finanziamento socio non oneroso” somme di denaro, frutto di condotte illecite di rilevanza penale di natura delittuosa, per reati commessi da un congiunto.
In sostanza trattasi di “riciclaggio per chi reinveste il frutto dell’illecito del congiunto”.
La vicenda ebbe inizio con la condanna dei soci e rappresentanti legali di alcune società, in primo e secondo grado, per il delitto di riciclaggio – ex art.648bis del Cp.
A leggere le carte dell’accusa, il reato presupposto, afferente alla sottrazione ed illecita commercializzazione di idrocarburi venne commesso unicamente dal congiunto e gli imputati dei fatti di causa, posta all’attenzione degli Ermellini, avevano utilizzato i proventi di tali illeciti nell’attività d’impresa, facendo transitare dette provviste nelle rispettive contabilità a titolo di “finanziamento socio non oneroso”.
Le stesse somme, furono anche oggetto di successivi prelevamenti nei rapporti di conto in essere presso le banche, ripulendo l’origine illecita e ostacolando la provenienza delittuosa del denaro utilizzato.
La movimentazione contabile delle risorse transitate sui conti – accrediti con i finanziamenti e addebiti con i prelievi per cassa – hanno effettivamente totalizzato l’ammontare corrispondente al valore del carburante sottratto. La piena consapevolezza circa l’origine illecita delle risorse finanziarie ovvero la impossibilità di giustificarne la provenienza, ha giustificato la condanna per “riciclaggio”.
I giudici di legittimità, nel respingere le argomentazioni della difesa degli imputati, ha ricordato che il dolo nel reato di riciclaggio può inquadrarsi anche nella forma eventuale, laddove l’agente, conoscendone l’origine del denaro ricevuto ed investito, ne accetta il rischio.
La pronuncia è tanto più importante, perché interessa una casistica molto ampia nell’esercizio di un’attività d’impresa, spesso finanziata direttamente dai soci (auto riciclaggio) o a mezzo di soggetti terzi (riciclaggio).
La sentenza che oggi sto a commentare, sia pure in modo sommario, ci ricorda di valutare sempre con particolare attenzione la provenienza della provvista da utilizzarsi per il finanziamento della società.