L’Eurozona registra oggi una ripresa solida e generalizzata. Considerando questa ripresa in prospettiva emergono tuttavia divergenze che non hanno smesso di accentuarsi fra i grandi paesi dell’area: tra la Francia e la Germania da un lato e l’Italia e la Spagna dall’altro. Se non si interverrà in alcun modo nel corso dei prossimi anni per arrestare queste dinamiche, il futuro dell’Eurozona potrebbe essere a rischio. In Francia come in Italia, la prossima sfida elettorale è quindi fondamentale: spetterà ai governi eletti in queste due nazioni attuare le riforme necessarie.
Nel corso degli ultimi anni, le divergenze in materia di tassi di disoccupazione si sono continuamente ampliate tra Francia e Germania. Quasi allineati nel 2007, i tassi di disoccupazione appaiono oggi molto distanti: in Germania questo tasso non ha smesso di ridursi fino a scendere, da poco, sotto il 4%; in Francia si è mantenuto, dopo la Grande recessione seguita alla crisi del 2008, intorno al 10%. Il dato è principalmente ascrivibile al disavanzo di crescita che segna la Francia rispetto alla Germania. Visto che l’evoluzione della domanda interna è stata, in quegli stessi anni, sostanzialmente identica per i due paesi, il differenziale di crescita evidenziato – e dunque in buona parte anche lo scarto nel tasso di disoccupazione – si spiega con il diverso contributo offerto alla crescita dal commercio estero.
Il contrasto è ancora più allarmante nel confronto tra Italia e Spagna, i due grandi paesi da tempo percepiti come appartenenti alla stessa “periferia”. Prima della crisi del 2008, questi due paesi perdevano costantemente competitività. In seguito, però, la Spagna è riuscita a raddrizzare la situazione in modo eccellente e, a differenza dell’Italia, a migliorare la sua produttività e la sua competitività: anche qui, il diverso apporto del saldo commerciale alla crescita spiega buona parte del differenziale di crescita tra i due paesi. Mentre dal 2007 l’evoluzione della loro domanda interna è risultata simile, il PIL italiano è oggi più basso di 7 punti percentuali rispetto a dieci anni prima, mentre quello della Spagna è cresciuto del 2%.
In questo contesto, correggere le divergenze di performance in materia di commercio estero dovrebbe rappresentare, tanto per l’Italia quanto per la Francia, una priorità. Resta ovviamente da capire quali riforme potrebbero consentire di ottenere un tale risultato. Nel caso dell’Italia, bisognerà intervenire sullo scarso aumento tendenziale della produttività, anche nell’industria, e sul deterioramento dei costi unitari del lavoro. In Francia, il problema riguarda piuttosto la capacità di accrescere la competitività “slegata dai prezzi” delle aziende, ossia ciò che attiene a una moltitudine di interventi che non possono ridursi al solo abbattimento del costo del lavoro, com’è accaduto negli ultimi anni.
Capire se le riforme necessarie a correggere queste divergenze saranno davvero attuate è l’oggetto della sfida elettorale che attende la Francia prima dell’estate e forse anche l’Italia dal prossimo autunno.
In Francia, La République En Marche!, il partito del nuovo presidente, ha vinto la maggioranza assoluta nell’Assemblea Nazionale. Ciò dovrebbe consentire sufficientemente al governo di procedere con i progetti prioritari di Emmanuel Macron: una maggiore flessibilità del mercato del lavoro e un miglioramento dei piani di stimolo per favorire il ritorno all’occupazione.
In Italia, dove la gravità della situazione economica è ben superiore, lo scenario politico è più incerto. La bocciatura, a fine 2016, del referendum in materia di revisione del poteri del Senato e delle sue modalità di elezione mantiene le istituzioni italiane in una condizione di squilibrio: anche se Camera dei Deputati e Senato della Repubblica condividono gli stessi poteri, le loro modalità di scrutinio divergono, e ciò complica la formazione di un governo stabile alle prossime elezioni che si terranno al più tardi la prossima primavera.